Il colonnello della giustizia sull’umore nelle forze dell’ordine
7 dicembre 2020, 13:44 | Radio Svaboda
«All’inizio della campagna elettorale, l’allora ministro dell’Interno Yury Karayeu ha tenuto un incontro con gli ufficiali dei principali dipartimenti di polizia. È stato detto quanto segue: “Potete fare qualsiasi cosa. Non deludetemi”. Nemmeno nel peggior incubo potevo immaginare che “tutto” – fosse letteralmente tutto». L’attuale agente delle forze dell’ordine è scioccato dall’entità della violenza.
Il colonnello della giustizia, investigatore per casi particolarmente importanti di uno dei dipartimenti del Comitato investigativo, Ivan Aheyeu (nome e cognome sono stati cambiati su sua richiesta), in una conversazione con Radio Svaboda ha raccontato qual è l’umore nelle forze dell’ordine ora, perché nessuno degli agenti delle forze dell’ordine è stato punito per aver ecceduto nei propri poteri e come ha percepito la sua comparsa nell’elenco dei «Punitori della Bielorussia».
«Non vedo l’ora di avviare un procedimento penale per violenza»
«Fin dall’inizio del nostro lavoro nelle forze dell’ordine, ci è stato detto: un poliziotto, un investigatore, dovrebbe rimanere fuori dalla politica, – dice l’ufficiale delle forze dell’ordine. – Sono d’accordo, ma solo se viene rispettato il principio di base: tutti sono uguali davanti alla legge. Solo a questa condizione un dipendente può dire: sono fuori dalla politica, perché salvaguardo le leggi. Non importa chi sia davanti a me: un ladro che ha rubato qualcosa o un funzionario di alto rango o un agente delle forze dell’ordine. Purtroppo, questo principio, sancito dalla Costituzione, ha iniziato a essere violato con l’adozione del nuovo Codice di procedura penale. Sono apparse le caste degli “intoccabili”. Ciò significa una procedura speciale per l’avvio di procedimenti penali contro un certo numero di persone – deputati, ministri, ecc.».
Durante i drammatici eventi subito dopo le elezioni presidenziali, i bielorussi sono hanno potuto accertarsi che la legge non fosse uguale per tutti. Migliaia di procedimenti amministrativi e penali contro i partecipanti alle manifestazioni pacifiche e neanche uno – per le violenze senza precedenti, mutilazioni e persino omicidi di civili da parte delle forze dell’ordine.
«Ognuno deve rispettare la legge. Senza questo, né il poliziotto né l’investigatore né il pubblico ministero né il giudice possono adempiere ai loro doveri. Se pensi di avere il diritto di violare le leggi in alcuni casi, allora questo è un crimine. Molti investigatori sono indignati per le azioni delle forze dell’ordine. Esiste una legge sugli organi degli affari interni che definisce l’uso della forza fisica, dei mezzi speciali, delle armi. Tutti i miei colleghi si sono iscritti ai canali Telegram e guardano i video delle dispersioni. E se un poliziotto antisommossa prende a calci in faccia qualcuno senza motivo, questo è un abuso di potere. La legge, in proposito, dice: l’agente delle forze dell’ordine deve cercare di infliggere minimi danni alla salute. Se una persona non oppone resistenza, perché picchiarla con un manganello?»
Allora perché vengono coperti i crimini di coloro le cui funzioni includono compiti completamente diversi – proteggere i cittadini e non mostrare violenza?
«I processi giudiziari non partono solo perché le autorità del Paese capiscono perfettamente che il primo procedimento penale contro uno specifico agente delle forze dell’ordine sarà l’inizio della fine del sistema attuale. Infatti, chi continuerà a partecipare alla dispersione penserà già: “Posso diventare il prossimo sul nastro trasportatore della giustizia”. Inoltre, ci sono dei programmi di riconoscimento facciale, è difficile sfuggire alla giustizia. Personalmente, non aspetto altro che la presenza di un crimine, per avviare un procedimento penale per un caso di violenza da parte della polizia antisommossa o di altre unità» dice lui.
Tuttavia, secondo l’interlocutore, il sistema ha letteralmente legato le mani dei suoi onesti subordinati.
«C’è una certa procedura: qualsiasi decisione deve essere concordata con il capo – spiega – Ma qui ci sono alcune sfumature. E, sebbene ci siano alcuni trucchi procedurali, scappatoie legali, с’è il rischio che l’attività eccessiva e le scelte dell’investigatore comporti il suo licenziamento o il mancato rinnovo del contratto. E questo sta già accadendo: i contratti di servizio vengono sciolti unilateralmente, indipendentemente da incarichi, titoli o meriti – dall’investigatore al vice capo del Сomitato investigativo, casi del genere sono già noti».
«L’uso delle armi come ultima risorsa e solo sulle gambe»
L’investigatore Aheyeu non crede che i procedimenti penali contro i colpevoli di violenze siano possibili in linea di principio sotto l’attuale regime. Secondo lui, gli agenti delle forze dell’ordine hanno ricevuto carta bianca per l’uso della forza. Di conseguenza, dal punto di vista delle autorità, non è del tutto logico punire qualcuno per i «poteri illimitati» legalizzati.
«All’inizio della campagna elettorale, l’ex ministro degli Interni Yury Karayeu e i suoi vice hanno tenuto un incontrato con gli ufficiali dei principali dipartimenti di polizia. È stato detto quanto segue: “Potete fare qualsiasi cosa. Non deludetemi”. Nel momento in cui ho sentito questo, ho capito un’altra cosa: qualsiasi cosa, ma nell’ambito della legge, dove è spiegato molto chiaramente l’uso di armi da fuoco e armi traumatiche. Nei casi più estremi, e solo sulle gambe, per arrecare il minimo danno alla salute. Non mirare alla testa o al petto. Nemmeno in un incubo potevo immaginare che sarebbe stato così come ad agosto e si sta ripetendo ora. Che “qualsiasi cosa” sia letteralmente qualsiasi cosa».
Le garanzie di impunità per gli agenti delle forze dell’ordine a Radio Svaboda sono state confermate anche da uno degli ex dipendenti dell’ufficio centrale della Procura generale. Quando all’inizio di settembre è stato nominato il capo della Procura generale Andrei Shved, a suo nome, è stato firmato un «documento programmatico» che riconosceva la liceità della violenza e conteneva un elenco di misure per ogni dipartimento competente in risposta a varie forme di protesta.
Secondo la fonte, tutto ciò che accade proprio ora è scritto lì. Il documento, infatti, ha reso impossibile l’avvio di accertamenti giudiziari come quello che hanno cercato di fare sul caso dei motociclisti picchiati. Di conseguenza, per protesta gli autorevoli pubblici ministeri hanno iniziato a dimettersi. Il documento è secretato, l’accesso è molto limitato.
«L’attuale governo vuole creare un paese con un regime rigoroso»
Per quasi quattro mesi, a partire dal 9 agosto, quasi 32 mila persone sono state arrestate per «violazione della legge sugli eventi di massa». Tuttavia, nell’ambito della campagna presidenziale, gli attivisti delle sedi dei richiedenti e dei candidati hanno iniziato a essere incarcerati anche prima, nella fase di raccolta delle firme e della procedura di registrazione.
Il numero rischia di crescere rapidamente e ulteriormente – soprattutto sullo sfondo del «picchettaggio sui balconi» (bandiere appese), iniziative per avviare dei procedimenti penali per la ripetuta partecipazione all’azione, raddoppiando i termini di arresti amministrativi e multe di 100 unità base per l’utilizzo di «simboli non registrati».
«Abbiamo chiamato un amico, ci siamo laureati insieme all’Accademia del Ministero dell’ Interno. Avvocato di formazione è sotto shock: un reato penale per ripetuta partecipazione all’azione! Cosa ne consegue? Il sistema vuole creare un Paese di regime rigoroso. Passo a sinistra, passo a destra – carcere. E presto si arriverà anche alla fucilazione, se ci muoviamo a tale ritmo. D’altra parte, penso così. Ebbene, chi è entrato alla Presidenza in modo dubbioso firmerà anche gli emendamenti al codice e io dovrò consegnare alla giustizia la persona che è andata a una manifestazione per la seconda volta. Per i dipendenti onesti, questa sarà l’ultima goccia. E guardando quello che sta succedendo in giro, non sono sorpreso che tali “favole” possano essere davvero adottate».
Come osserva l’investigatore, la campagna politica di quest’anno ha riportato la Bielorussia indietro di decenni, quando gli oppositori sono stati uccisi e rapiti. I parenti non riescono a trovare i loro famigliari catturati per diversi giorni; armi ed equipaggiamenti speciali contro i civili sono all’ordine del giorno. E l’omicidio dell’artista Raman Bandarenka è stato il culmine dell’impunità.
«È orribile… Se anche nelle città e nei paesi fedeli, vicino alle chiese le persone si riuniscono per accendere le candele sotto il ritratto di Raman, questo testimonia il dolore umano. Non so esattamente cosa posso fare in questa situazione. Ma non è più possibile tacere. Mi fa arrabbiare quando guardo una tale iniquità. E chiedo scusa a tutto il popolo bielorusso per la mia impotenza legale. La nostra gente meritava una tale presa in giro? Sfortunatamente, urliamo in modo oltraggioso solo negli uffici e nelle cucine. Cos’altro deve accadere perché gli investigatori possano dire la loro e alzarsi?» fa una domanda retorica.
Un’altra caratteristica di questo tipo di «dialogo» tra le autorità e la società è la caccia mirata ai giornalisti. Mai prima d’ora nella storia sovrana della Bielorussia ci sono stati così tanti casi ai sensi del famigerato articolo 23.34. Invece di un «certificato di protezione», il giubbotto con la scritta «Stampa» e il distintivo editoriale sono diventati dei bersagli – decine di operatori dei media sono stati multati, privati del loro accreditamento del ministero degli Esteri e hanno scontato degli arresti amministrativi.
«Questo non ha senso – afferma il colonnello della giustizia – Dicono che in questo modo le persone non vedranno cosa accade realmente durante la dispersione. Ci sono già state molte discussioni e analisi, quindi tutti vedono chiaramente qual è il loro scopo: se ci sono meno informazioni veritiere, il livello di attività diminuirà, la protesta sarà sgonfiata e vivremo come prima. Ma non serve una formazione speciale per capire: non sarà come prima, con questo regime! Le sue risorse sono esaurite. Inoltre, ci sono sempre aree libere in cui le autorità stesse spingono le persone – gli stessi canali di Telegram. Oltre a ciò, oggi ognuno può essere sia blogger, che giornalista e operatore video – il processo non si può più fermare».
«Non posso più chiamare molte persone in divisa colleghi»
Migliaia di agenti delle forze dell’ordine per i loro «meriti» di combattimento sono stati inseriti in vari «elenchi di disonore» – dai «Punitori della Bielorussia» al «Libro nero». In questi elenchi è inserito anche il nostro interlocutore. In che modo la sua presenza accanto alla polizia antisommossa, alle truppe interne e ai giudici ha influito sul suo spirito morale? Tale vicinanza l’ha colpita molto?
«Ero più preoccupato di come avrebbe influenzato la mia famiglia. I colleghi hanno detto di scrivere una dichiarazione per iniziare la verifica. Ho rifiutato perché capisco la logica dei “partigiani”. Non conosco l’efficacia di questi canali, ma non sono arrabbiato con gli stessi. Le persone sono indignate del sistema nel suo insieme. Sì, e anche io sono scandalizzato. Sfortunatamente, ha smesso di funzionare regolarmente molto tempo fa. E non sono solo, nell’elenco ci sono molti che non sono colpevoli di ciò che viene loro attribuito. Per quanto riguarda gli investigatori, sono per lo più favorevoli “per la compagnia”. La stragrande maggioranza comprende molto bene cosa sia una violazione di legge. Per quanto riguarda il resto… Penso che la maggioranza nell’“albo del disonore” sia lì abbastanza meritatamente».
Secondo il colonnello della giustizia, la sua cerchia di contatti si è notevolmente ridotta negli ultimi mesi. Innanzitutto si sono allontanate quelle persone in uniforme che non solo non mettono in dubbio le azioni violente, ma le considerano anche «necessarie» per ristabilire l’ordine. Oppure sono silenziosamente d’accordo.
«Sfortunatamente, non posso chiamare più molti di loro miei colleghi – ha detto – Si deve contattare la polizia durante il lavoro, durante le indagini sui casi penali. E se prima potevamo parlare di argomenti personali – ad esempio, moglie, figli, casa estiva, pesca – ora è difficile sforzarsi anche solo di dire ciao. Il mio atteggiamento nei loro confronti è inequivocabile: sono complici del crimine delle autorità contro il popolo bielorusso. Non sarà un’esagerazione affermare che, almeno nel Comitato, molti condividono la mia opinione sugli eventi nel Paese e sul ruolo dei nostri ex conoscenti della polizia».
Durante la conversazione, lo stesso investigatore Aheyeu era propenso a credere che entro la fine del contratto, il 31 dicembre sarebbe stato il suo ultimo giorno lavorativo al Comitato Investigativo – anche se gli amici cercavano di convincerlo a non fare passi affrettati. La cosa più preoccupante, prosegue l’interlocutore, è che inizieranno a reclutare dipendenti poco competenti, i cosiddetti «segretari», che non esiteranno ad eseguire gli ordini, non le leggi.
«Non farò la fame senza il Comitato, la mia coscienza mi preoccupa di più»
Sta pensando di lasciare il Paese, come hanno già fatto alcuni suoi colleghi? Le convinzioni interne e il senso civile sono chiaramente noti ai capi del Comitato, e le conseguenze nella situazione attuale possono essere imprevedibili.
«Non voglio usare parole alte sul patriottismo, ma questo è il mio Paese. Forse se fossi più giovane e vedessi prospettive all’estero, forse sì. Ma posso ancora essere utile in Patria. Anche se non nelle forze dell’ordine, ci sono altri lavori, non mi spaventa. Tenendo conto degli eventi recenti, ovviamente, sono state prese in considerazione delle opzioni – dal licenziamento dimostrativo al pensionamento dopo la scadenza del contratto o la riconversione professionale. Non ho paura di lasciare il Comitato e di fare la fame. Non ho nessun problema a guadagnare di meno. La coscienza mi preoccupa di più. Ho sempre desiderato che i miei colleghi potessero dire: “Sono una persona onorabile!” Gli ufficiali sono sempre stati una casta speciale – onesti, forti, altamente istruiti e colti. Sfortunatamente, una persona ha contaminato tutto in un istante».
Secondo l’interlocutore, nell’ultimo quarto di secolo, la verticalità del potere nelle aspirazioni di civilizzazione si è completamente discostata dal proprio popolo, soprattutto dalla nuova generazione.
«I venticinquenni di oggi non sono quelli che lo hanno scelto. I miei genitori, che nel 1994, come me, credevano nel “ragazzo nostrano”, decisero che un tale leader era necessario. Ma i giorni dello slang di campagna sono finiti. Ora si prova vergogna per un tale leader. È un legittimo desiderio che in televisione non compaia un “contadino”, il cui vocabolario sempre più scivola negli insulti, ma una persona adeguata e al passo con i tempi. È comprensibile il motivo per cui non rinunci al potere, sebbene ci sia la possibilità di andarsene tranquillamente. Oggi la gente non perdona più per chi stato ucciso, mutilato, gettato in prigione… Sono sicuro che ci vorranno mesi – e il tempo metterà ogni cosa al proprio posto. Onore, coscienza e buon senso prevarranno» riassume il colonnello della giustizia Ivan Aheyeu.
Molti funzionari delle forze dell’ordine che hanno contestato il sistema sono stati perseguitati e sottoposti a pressioni fisiche e morali. L’investigatore, esperto, non esclude per se stesso un simile evolversi degli eventi – conosce bene lo straordinario rancore dei funzionari delle forze dell’ordine.