Quattro storie di pestaggi e torture a Vitebsk
24 agosto 2020, 07:58 | Nasha Niva
Radio Svaboda ha parlato con cittadini di Vitebsk detenuti il 9 agosto, giusto di fronte al seggio elettorale, durante una passeggiata, in centro città, vicino a casa. Sono stati picchiati e detenuti in carcere. Hanno parlato del dolore fisico e della pressione morale. Hanno parlato di essere stati trattati come delinquenti nonostante non avessero violato la legge. Sono i loro diritti che sono stati violati.
«Vivi una vita normale e ad un tratto ti trovi in un film sui lager»
- Maksim Zhukau, 45 anni, imprenditore, attivista civile, per conto suo sta restaurando la villa del botanico Adamau nella zona di Vitebsk.
- È stato arrestato per 15 giorni solo perché era andato ad informarsi sui risultati delle elezioni.
Maksim è stato arrestato il 9 agosto vicino al seggio elettorale. Insieme agli amici è andato lì per i risultati delle elezioni. Come dice lui, vicino alla scuola numero 40 nel distretto Pershamaiski di Vitebsk c’erano massimo 15 persone. Poliziotti e agenti della polizia antisommossa si sono apparsi lì, e hanno chiamato le azioni dei cittadini una manifestazione non autorizzata chiedendo di andarsene.
«Mi sono messo a filmare. Un minuto dopo mi hanno preso sotto braccia, messo in macchina di polizia e portato al centro detenzione», si ricorda Maksim.
Maksim è stato messo in cella dopo mezzanotte. Oltre a lui, c’erano già settanta persone.
«Nel centro detenzione tutte le celle erano come la sauna», racconta lui delle condizioni di detenzione. «Ogni angolo era pieno di muffa nera a causa dell’umidità elevata. Il water sta nella cella, neanche divisori ci sono. Ad alcune persone hanno portato via le scarpe. E questi sono rimasti a piedi nudi. Non c’erano lenzuola. Eravamo stesi su piastre di metallo. Ti distrai per 20 minuti, poi risenti il dolore in tutto il corpo. Però ci era permesso sdraiarci di giorno – ci si poteva svestire e almeno mettere la maglietta sotto la testa».
La seconda notte i detenuti sono stati trasferiti in furgone blindato al carcere giudiziario, come dicevano i poliziotti, «in gita gratuita».
«Alla perquisizione personale ci hanno ordinato di svestirci e ci hanno fatto fare flessioni sulle ginocchia. Poi dopo, ci hanno distribuito nelle celle. Ci hanno dato materassi. Siamo riusciti a dormire alcune ore. Alle sei di mattino partiva la sveglia accompagnata dall’inno. Hanno portato via i materassi, e ci rimaneva o sederci sui letti con barre di ferro o stare in piedi. Ogni 15 minuti la guardia carceraria ci faceva delle osservazioni.
«Allora, avete visto cosa vi aspetta qui, stronzi? Animali, saprete come scendere in piazza!» – parolacce e insulti nei nostri confronti li sentivamo senza fine».
Il processo a porte chiuse nei confronti di Maksim è stato celebrato di giorno nel centro di detenzione preventiva. Secondo il comma 1 dell’articolo 23.34, per violazione della legge in relazione all’organizzazione e realizzazione degli eventi di massa. Gli hanno dato 15 giorni in carcere. Per scontarli è stato riportato nel carcere giudiziario.
La seconda volta ci hanno accolto in maniera molto più brutta, dice Maksim. In due file ci sono agenti con passamontagne e fucili automatici. Capannone in ferro. Cani. Notte. Si salta fuori uno a uno. Mezzo piegato, occhi giù. Tutti contro il muro. Ti picchiano però in modo da non lasciare segni. Anzitutto, questo ti rovina moralmente. Vivi una vita normale, e ad un tratto ti trovi in un film sul lager. È un certo surrealismo. La gente rimasta scioccata. Non si capisce niente.
Poi corri dentro un box in cemento, da lì passi alla perquisizione personale. Poi ancora svestirsi e fare flessioni sulle ginocchia – sotto minacce che il peggio arriverà in seguito. Tanto l’ordine è stato ricevuto dall’alto.
Non ho mangiato per 4 giorni. Loro se ne fregano, a me invece serviva di più un sostegno morale. Aiutava pure l’umorismo, nero però.
Nel carcere giudiziario avevo paura. Sei in uno spazio chiuso, in mezzo a gente armata e cani allenati. Possono trattarti come vogliono. E nessuno ne saprà niente. A noi dicevano: veloci a smontare i lettini, sennò vi mettiamo i cani nella cella e salterete fino al soffitto. Ed erano capaci di farlo. E fuori non l’avrebbe mai saputo nessuno».
«Però abbiamo avuto fortuna, aggiunge Maksim. Rispetto a Minsk il nostro era un resort a 5 stelle, nonostante la pressione morale».
Maksim racconta che il quinto giorno l’atteggiamento verso i detenuti era cambiato. Di sera invece i poliziotti, con mani tremanti, rilasciavano le persone. Maksim ha passato in carcere cinque giorni dei 15. Il suo mantenimento in carcere gli costerà circa 70 rubli.
Appena rilasciati, Maksim insieme ad altri detenuti i cui contatti è riuscito a trovare, hanno presentato reclami contro la decisione del giudice. Con i soldi raccolti da altri simpatizzanti bielorussi, Maksim ha pagato la tassa per il reclamo a tutti.
Secondo Maksim, adesso bisogna diffondere al massimo l’informazione sulle atrocità delle forze dell’ordine.
«Queste persone vanno portate in tribunale e messe in galera. Alcuni a vita».
«Un uomo normale non può picchiare così»
- Mikola Kaciurez, 61 anni, autista internazionale
- Nonostante la sua età, Mikola è stato picchiato, gli hanno tirato i capelli. Dopo averlo picchiato lo hanno tenuto nelle celle del centro di detenzione preventiva e del carcere giudiziario, rifiutavano di dargli medicinali.
Due anni fa Mikola ha smesso di fumare dopo che aveva avuto un infarto e ora prende medicinali. Le ultime settimane però ha fumato due pacchetti di sigarette al giorno. Alleviano lo stress.
«Il 9 agosto, uscito di casa sentivo suonare le macchine. Non credevo che la gente sarebbe scesa in strada, ma ho deciso di farmi una passeggiata e vedere. Ho portato con me la bandiera bianco-rosso-bianca.
Quando mi stavo avvicinando alla piazza, mi hanno detto che la polizia antisommossa stava già disperdendo e catturando la gente. Ho tirato fuori la bandiera e l’ho alzata. Eravamo circa 50-60 persone a camminare insieme. Così abbiamo raggiunto Brygantyna (l’edificio in cui prima era il cinema, all’incrocio della via Chkalu ed il corso Budaunikou, proprio qui nel corso di alcuni giorni di seguito hanno detenuto molta gente – N.d.R.).
Vicino a me si sono fermati i blindati. Gli agenti della polizia antisommossa correvano verso ragazzi giovani. Ho preso uno per braccio, e poi la lotta è cominciata. Si è aggiunto un altro. Mi hanno preso e trascinato sul blindato. Lì mi sembrava che mi stavano uccidendo. Mi picchiavano in testa con i pugni. I colpi erano forti, è chiaro che questi erano allenati professionalmente.
Uno di loro mi ha preso per i capelli sgridandomi: «Hai pure capelli lunghi? Vuoi cambiamenti? Eccoli!» Mi picchiava con forza. Un uomo normale non è capace di picchiare così. È atrocità, fascismo. Lui urlava e mi tirava i capelli con entrambi le mani.
Hanno rivolto la torcia verso di me. Aveva una ferita vicino all’occhio, mi usciva il sangue dal naso. Continuavano a picchiarmi. Forse, sbaglio un po’. Non volevo ricordare. Volevo solo superare tutto questo. Poi mi hanno tirato fuori e buttato nell’altro blindato.
Poi in questo blindato abbiamo fatto tanti giri per la città. Infine ci hanno portati nel centro detenzione. Abbiamo passato in piedi dentro il blindato altre due o tre ore, nel cortile. Non ci lasciavano andare in bagno. Ci sgridavano come se fossimo animali. Solo dopo le cinque del mattino ci hanno portato in cella».
Per una passeggiata in città Mikola ha ricevuto 15 giorni in carcere. Cinque li ha passati nelle celle del centro detenzione e del carcere giudiziario, che i cittadini di Vitebsk ora chiamano il lager.
«Ci spogliavano, perquisivano. Ci deridevano, ci parlavano in tono rude, ci offendevano. Ci trattavano come delinquenti e criminali. Erano tutti in maschera, senza badge.
Quando ci hanno portato in prigione, sono uscito per ultimo dal blindato, ho sentito il latrato dei cani, il suono dei manganelli sulle schiene. Ero stato picchiato bene. Mi facevano molto male le costole. Credo fossero rotte. Mi hanno spinto perché non potevo correre. C’era l’ordine di guardare per terra. Stavamo in piedi lungo il muro. Picchiavano la gente. Io stavo seduto in punta di piedi, gli altri stavano in ginocchio. Vicino a me stava un ragazzo di Vitebsk, un businessman, aveva il proprio negozio. Ha detto che aveva avuto due operazioni alle gambe, non può stare sulle ginocchia. Lo hanno picchiato. Ci costringevano a rispondere a tutti gli ordini «Sì certo!». Altrimenti – manganellate.
Non ci hanno dato alcun aiuto medico. Io ho avuto un infarto. Devo prendere le medicine. Ogni giorno prendo medicine per la pressione, per l’anticoagulazione del sangue, per il colesterolo. Una mia amica è riuscita a sapere dove sono. Mi ha portato le medicine ma non me le hanno date. Li ho chiesti ogni giorno. Mi hanno dato solo una pillola di mattina al quinto giorno, quando l’atteggiamento verso di noi è cambiato e hanno iniziato a rilasciarci».
Mikola dice che avevano paura di liberarlo, perché aveva gli occhi neri e il viso pieno di lividi e staco. I suoi compagni di cella hanno iniziato a chiedere «Liberate il nonnino!». Gli amici gli hanno portato gli occhiali e una maschera. Mikola è uscito alla libertà con il volto coperto.
«Sono andato al centro traumi dell’ospedale. Ho fatto una radiografia, una tomografia. Le costole erano intatte. I danni erano esterni. Non avevo ematomi in testa, mi hanno detto. Il dottore ha mandato i risultati degli esami in procura. Un investigatore mi ha interrogato».
Mikola dice che ogni giorno si sente meglio.
«I primi giorni dopo il rilascio mi sono curato e ho navigato su Internet. Ho pianto per ciò che succede. Più di tutto avevo paura di scoprire, una volta libero, che tutti fossero scappati e si fossero nascosti».
Lunedì 17 agosto Mikola è stato fra i 15 delegati del popolo all’incontro con i consiglieri della giunta regionale, in qualità di testimone del crudele trattamento riservato a pacifici dimostranti.
«I consiglieri hanno portato come scusa il fatto che gli atti delle forze dell’ordine abbiano soffocato i disordini in città, avevano paura che rompessimo i marciapiedi e le panchine. Perciò hanno rotto le persone.
Non mi ricordo una tale crudeltà. In gioventù ci siamo picchiati, ma c’erano dei certi principi. Nessuno alzava le mani sulle ragazze o le persone anziane.»
«È stato come un rapimento»
- Uladzimer Bulauski, 31 anni, muscista, storico, attivista civile
- Lo hanno picchiato fortemente all’arresto nel giorno delle elezioni. Secondo il medico che lo ha curato i traumi hanno una natura criminale
«La notte del 9 agosto dopo le votazioni mi sono incontrato con degli amici in centro. Avevo in mano la bandiera bianco-rosso-bianca. Già sapevano che a Vitebsk stavano facendo arresti vicino alla Piazza della Vittoria. Siamo andati sul Viale Maskouski, dal lato del caffè Zdoba. Volevo andare al bagno, perciò ho proposto ai miei amici di trovarci dentro. Non siamo arrivati al caffè per 5 o 6 metri, letteralmente.
Abbiamo visto dei cellulari della polizia e dei blindati. Ma noi camminavamo in modo del tutto pacifico, non gridavamo niente, non ho alzato la bandiera. Mi è corso incontro da dietro un uomo in uniforme dell’esercito. Come dicono i testimoni, era un maggiore Non si è presentato e ha iniziato a soffocarmi col manganello. Mi ha sbattuto per terra, ha continuato a soffocarmi, mi pressava la vescica col ginocchio. Perciò mi sono fatto la pipì addosso.
Ha iniziato a gridarmi di alzarmi e andarmene. Mentre diceva così mi teneva per terra e mi colpiva in viso. Sono arrivati di corsa i suoi colleghi e hanno iniziato a colpirmi coi manganelli in tre. Ho detto che potevo camminare da solo. Dal dolore camminavo lentamente, mi spingevano di continuo. Nel blindato mi hanno spinto così tanto che ho sbattuto la testa sulle pareti. Nel blindato, diviso in due parti, stavano seduti in tre. Non potevamo respirare.
Durante l’arresto mi hanno rotto gli occhiali. Finché il maggiore non me li ripara andrò senza stanghette. Che mi guardino pure.
Dopo mi hanno portato da un blindato all’altro. Abbiamo girato per alcune ore per la città. Nel centro di detenzione non c’erano posti. Ci hanno portato più in là. Dove – non ce lo diceva nessuno. Era come un rapimento. Dopo ho saputo che eravamo nella palestra del dipartimento di polizia del quartiere Pershamajski.
Ci hanno portato via dal blindato e ci hanno portato uno per uno nella palestra. Ci hanno ordinato di toglierci le scarpe e le calze. Ci hanno messo in ginocchio, mani dietro la testa. Ho detto che ho problemi con le ginocchia, e mi hanno permesso di stare in piedi in una posizione più comoda. Dentro c’erano circa 20 militari mascherati. I più anziani non nascondevano il viso.
Sulla palestra c’era un secondo piano – con un balcone. Là stavano alcune donne e ridevano di come si comportavano gli arrestati. Eravamo circa 33 persone – ragazzi e una ragazza. Hanno iniziato a picchiare due ragazzi, per punire gli altri. Uno si è sentito male. Lo ha preso l’ambulanza. Uno dei due uomini che era con me nel blindato aveva un problema alla prostata. Non lo hanno lasciato andare in bagno. Gli hanno dato solo una bottiglia. Nella sala gli è venuto un infarto. Finché non è arrivata l’ambulanza non gli hanno prestato alcun aiuto.
Per quasi un’ora hanno tenuto le persone in ginocchio. Ci proibivano di girare la testa, cambiare la posizione di mani e gambe, ci picchiavano con i manganelli Dopo uno per uno ci hanno portato in una stanza con dei poliziotti. Non hanno fatto nessun verbale. Hanno solo scritto le condizioni dell’arresto.
Solo dopo quattro ore dall’arresto mi hanno lasciato andare in bagno.
Mi hanno rilasciato dopo le tre di notte.
Il giorno dopo mi sono consultato con degli specialisti di protezione dei diritti civili. Un amico ha fotografato tutte le mie ferite. Abbiamo messo sulle foro data e ora. Sono andata in procura, ho fatto la denuncia, nella quale esigevo di avere una perizia medica e di portare in giudizio gli agenti che mi avevano arrestato senza motivo e picchiato.
Al centro per i traumi del pronto soccorso un neurochirurgo e un traumatologo mi hanno curato le ferite, fatto una radiografia del piede, una RM del cranio – ho riportato alcuni traumi alla testa, ho una diagnosi non troppo buona, a causa della quale sono stato esentato dal servizio militare.
Il referto dice: un colpo all’area temporale destra, sanguinamento del viso, tessuti molli nell’area dell’articolazione della spalla sinistra, un colpo al piede sinistro, danni alle articolazioni del ginocchio.
Il dottore ha detto subito che questi sono traumi di natura criminale. Dal centro per i traumi hanno chiamato la polizia. Dopo un’ora mi hanno chiamato degli agenti, per sapere in che circostanze fossi stato picchiato.»
La sera del 10 agosto Uladzimer è stato arrestato una seconda volta, mentre era alla fermata non lontano dal Viale della Vittoria. Secondo le sue parole, il blindato ha tagliato la strada all’autobus e hanno iniziato ad arrestare le persone. Uladzimer non è stato picchiato. Hanno fatto un verbale, lui non lo ha approvato e nel corso della notte lo hanno rilasciato.
«Non mi hanno creduto perché sono di aspetto diverso»
- Sjargej Miranenka, artista, 39 anni
- Arrestato perché «vive in centro, porta il kilt e ha dei tatuaggi». Dopo il rilascio in segno di protesta l’artista si è tagliato i capelli che aveva lunghi.
L’artista di Vitebsk Sjargej Miranenka vive non lontano dalla Piazza della Vittoria. Nella notte fra il 9 e il 10 agosto era seduto con suo figlio piccolo. Dopo è uscito a passeggiare.
«Mi hanno arrestato subito. Mi sono corsi addosso da dietro, mi hanno preso sottobraccio e portato nel blindato. Hanno fermato circa sei persone. Perché per il mio aspetto esteriore sembro pericoloso. Ho chiesto la ragione dell’arresto, mi hanno risposto che avrebbero spiegato tutto.
Al dipartimento di polizia mi hanno detto che ho scritto in faccia che sono un estremista, un sobillatore, perché appaio come appaio.»
Sjargej dice che da sempre non vuole apparire come gli altri. Già da qualche anno l’artista è conosciuto a Vitebsk anche per il suo aspetto esteriore – è l’unico in città a portare il kilt. Il suo viso era anche incorniciato da lunghi capelli.
«Mi piace il kilt. Mi ci sento libero. Mi piace così. Sono un artista. Ho il mio sguardo sul mondo. Disordinato. Faccio alcune leggere performances su di me. Alcuni accettano il mio viso, altri no. A volte mi guardano come fossi uno strambo. Ma questo non mi tange.
Nel blindato mi hanno preso in giro. Nel tragitto cercavano di alzare il kilt col manganello e vedere se ero uno scozzese vero. È pesante, pesa circa due chili, perciò non sono riusciti ad alzarlo col manganello.
Nel centro di detenzione mi hanno messo in corridoio. Mi hanno costretto a spogliarmi. Stavo in piedi vicino al muro, le gambe all’altezza delle spalle, semipiegato. Mi hanno gridato che dal viso parevo un ucraino. Ho risposto che sono bielorusso. Ma continuavano a dirmi che ero ucraino. Stare in piedi era scomodo. La schiena era sotto pressione e ho due lesioni spinali. Ho iniziato a tremare, perché non riesco a stare in questa posizione per più di cinque minuti. Mi hanno detto che o così, o mi mettono in una pozione nella quale proprio non potrei stare in piedi.
Nell’ufficio mi hanno fatto domande sulle circostanze del mio arresto. Non mi hanno creduto. Mi hanno detto che col io aspetto esteriore queste possono essere solo favole. La polizia mi ha anche chiesto quanto fossi stato pagato per andare in piazza.
Ognuno di loro cercava di dirmi che io sarei uno scozzese libero, venuto per combattere per la libertà della Bielorussia. E tutto quello che avrei ottenuto è l’arresto».
Sjargej è stato condannato a 10 giorni di carcere.
«Il processo è stato condotto solo sulle parole degli agenti che mi avevano arrestato. Apparentemente io sarei andato nella folla, gridando slogan e agitando le mani. E io sono persino una persona apolitica. Ma cercare di dire la mia era senza senso. Ho scritto che non condivido la loro rappresentazione della situazione. La mia unica colpa era di essere stato per strada. E di vivere in centro. A tutti coloro che hanno accettato le accuse hanno dato delle multe. A quelli che le ricusavano – una pena in carcere. Era una pressione morale. Hanno provato a farci vedere che è il governo a decidere come ci dobbiamo comportare.»
Sjargei ha passato in carcere alcuni giorni dopo il processo.
«Dal centro di detenzione al carcere ci hanno portato di notte. Sono entrato in cella alle 6 del mattino. Non ho mai pensato prima che mi sarei trovato in un posto simile. Che sarei stato trattato come un criminale, come un condannato all’ergastolo.
In carcere c’è un orario rigido. Sveglia alle sei, a letto alle dieci. Mattina e sera – movimento. La luce resta accesa 24 ore su 24. Stai seduto o stai in piedi tutto il giorno. Spazio chiuso, nessuna notizia. Per diversi giorni la radio ha trasmesso la Bibbia. Era molto difficile resistere a tutto questo».
Sjargej ha scontato cinque giorni. Il giorno dopo il suo rilascio, si è tagliato i capelli.
«Adesso sono calvo. È una protesta interna per ciò che ho visto. Il mio atteggiamento nei confronti delle persone che, come pensavo prima, avrebbero dovuto proteggerci è cambiato radicalmente».