14 settembre 2020, 10:20 | Aleksandr Atroshchankov, Reform.by
L’investigatore capo del dipartimento del distretto Partizansky (Minsk) del Comitato investigativo della Repubblica di Bielorussia, il capitano della giustizia Andrei Ostapovich, è partito per la Russia dopo aver pubblicato su Instagram un rapporto di licenziamento di 5 pagine, in cui descrive le violenze compiute contro manifestanti pacifici, le torture nei dipartimenti di polizia e nelle carceri, la falsificazione di procedimenti penali contro i manifestanti e molto altro ancora. Dopo la pubblicazione del rapporto, Andrei Ostapovich è andato in Russia, da dove ha cercato di arrivare in Lettonia. Ma il 21 agosto, dopo un tentativo fallito di attraversare il confine, è stato arrestato presso l’Hotel Rizhskaya di Pskov dalle forze di sicurezza russe, che lo hanno riportato in Bielorussia. A questo punto i contatti con lui si sono interrotti. Pochi giorni fa Andrei Ostapovich è apparso a Varsavia dove ha raccontato ad Aleksandr Atroshchankov, in un’intervista per Reform.by, cosa gli era successo dopo l’arresto da parte delle forze di sicurezza russe e molte altre cose.
Raccontaci cosa è successo dopo l’arresto. Come sei stato trasportato al confine bielorusso e come sei finito in Polonia?
Sono stato arrestato dalle forze di sicurezza dei servizi russi a Pskov presso l’hotel Rizhskaya. Inizialmente mi è stato detto che era necessario fare rapporto sul mio check-in in hotel, in quanto non avrei mostrato il mio passaporto. In realtà questa sarebbe una pura formalità, poiché con i miei amici abbiamo effettuato un check-in di gruppo con un solo passaporto come riferimento. Alla stazione di polizia è stato subito chiaro che il motivo era del tutto inventato. Subito dopo che sono stato portato lì, sono arrivate delle persone in borghese e mi hanno fatto domande che non avevano nulla a che fare con il mio soggiorno in hotel. Quando mi sono rifiutato di parlare con loro, hanno redatto un verbale in base al codice amministrativo per teppismo – secondo cui avrei detto delle parolacce in un luogo pubblico. Dopo aver rifiutato di firmare il suddetto protocollo hanno cercato di accusarmi di attraversamento illegale della frontiera con il pretesto di restrizioni legate al coronavirus, ma grazie alla mia professione sono rientrato nella categoria delle persone che possono entrare nella Federazione Russa anche in caso di pandemia. Ho rifiutato di firmare anche questo verbale, rendendomi conto che stavano semplicemente cercando una scusa per trattenermi, stavano prendendo il tempo per organizzare l’estradizione in Bielorussia.
Gli agenti della polizia hanno redatto i protocolli in presenza di persone in borghese – i quali non mi hanno risposto quando gli avevo chiesto da che dipartimento provenissero – mi hanno solo passato questi verbali da firmare, era chiaro che erano nervosi e agivano su ordine di qualcun altro. Le loro mani tremavano molto. Queste persone in borghese hanno proibito agli agenti di polizia di comunicare con me, ma i poliziotti di Pskov mi hanno trattato con comprensione ed espresso solidarietà per quello che sta succedendo nel nostro paese. Ho constatato che la Polizia Federale Russa stava lavorando sul mio caso.
Come sei arrivato al confine?
Ad un certo punto mi è stato detto che sarei stato rilasciato, hanno iniziato a restituirmi le mie cose. Avevo due telefoni con me mentre il terzo è rimasto in albergo, ma alla stazione di polizia, il terzo telefono era presente tra i miei effetti personali. Cioè significa che erano entrati nella mia camera d’albergo senza alcun mandato, avevano ispezionato le mie cose ed avevano messo il telefono nella borsa che portavo con me. Dopo hanno cominciato a portarmi fuori non dall’uscita principale, ma attraverso quella di emergenza. Lì ci aspettava un «minibus» e 6-8 agenti armati e con un passamontagna sul viso. Mi hanno «accolto» con durezza: messo le manette e un passamontagna coperto con stoffa nera in modo che non potessi vedere nulla. Le mie mani erano ammanettate davanti e quando sono salito sul minibus hanno attaccato un peso di 32 chili. Credo che questo fosse un tentativo di intimidazione psicologica, per indurmi a pensare che mi stessero portando a far annegare in un fiume. In macchina hanno cercato di scoprire le password per dei miei telefoni, quando mi sono rifiutato, si sono detti che nonostante i telefoni fossero accesi e bloccati, vedono che sono in modalità aereo, quindi nessuno mi seguirà e tutto andrà secondo il loro piano. E così via. Più tardi mi hanno lasciato stare e sono rimasti in silenzio in silenzio.
Ovviamente è stato spaventoso, non sapevo quali piani avessero per me e cosa mi avrebbero fatto, ma ho deciso: se dovrò morire, lo farò con orgoglio. Ho pregato, ricordato tutti i miei peccati ed ho chiesto perdono al Signore, mi sono messo l’anima in pace, mi sono seduto con la schiena dritta con quella maschera addosso e con il peso legato alle mani, non reagivo in alcun modo alle loro domande e sono rimasto in silenzio per tutto il tempo.
Analizzando il loro comportamento, l’assenza di violenza fisica in risposta al mio silenzio, mi sono reso conto che se mi avessero voluto uccidere, mi avrebbero costretto a rispondere usando la violenza. Anche se forse in questo modo cercavo solo di tranquillizzarmi. Inoltre, la stoffa sulla maschera nella parte inferiore dell’occhio destro aveva una fessura e visto che non mi avevano tolto l’orologio dalla mano ho visto l’ora all’inizio del viaggio. Siamo stati in viaggio per 4 ore andando molto velocemente. Sapevo che da Pskov a San Pietroburgo sono circa 4 ore di macchina, lo stesso tempo fino al confine con la Bielorussia. Allora ho capito: non ha senso portarmi così lontano per poi buttare nel fiume e non mi picchiano – significa che mi stanno portando in un dipartimento più grande della Polizia Federale Russa per l’interrogatorio o mi stavano riportando in Bielorussia. La seconda opzione sarebbe stata decisamente peggiore. Tre ore dopo, quando ho iniziato a sentire il rumore dei camion che ci passavano accanto uno dopo l’altro, ho capito che mi stavano portando al confine.
Al confine mi hanno tolto le manette e la maschera e mi hanno comunicato che sono stato espulso dalla Russia per un periodo di 5 anni. Ho chiesto loro: «Per cosa?» Hanno risposto che è per la detenzione illegale di cittadini russi. Ero confuso da quello che ho sentito. Non c’era niente al riguardo nel verbale che mi è stato dato. Mi è stato comunicato solo a voce. Ho cercato di capire di cosa si trattasse effettivamente. All’inizio ho pensato di essere stato accusato di aver catturato i miei amici, che erano con me a Pskov e che mi avevano aiutato. Ma loro sono cittadini bielorussi ed erano con me in albergo di loro spontanea volontà. Quindi gli agenti mi hanno detto: «No. Si tratta di soldati di Wagner». Ma non capivo come mi avessero collegato al caso Wagner… Poi ho pensato che forse degli ufficiali del KGB avevano detto loro che che avevo qualcosa a che fare con questo caso o che avevo partecipato alla detenzione, per farmi trattare senza riguardo. O forse gli ufficiali della Polizia Federale hanno deciso di fare così per dirmi chiaramente che non ero il benvenuto in Russia, così da spingermi a non cercare di tornare passando per le foreste e non dovermi portare nuovamente fuori dal confine… Onestamente, non capisco da dove provenissero queste accuse.
Quando mi sono liberato ho inviato una foto del verbale alle persone competenti in Russia che si stavano preoccupando per quello che mi era successo. Mi hanno spiegato che il verbale che mi è stato consegnato era finto, questo pezzo di carta non aveva valore legale e il fatto che io sia stato portato in Bielorussia non era né una deportazione né un’estradizione. E stato fatto per collegamento diretto tra le due strutture, è già chiaro di quali si tratti.
Non so perché, forse perché avevo resistito così, forse perchè avevano finito il loro lavoro, ma quando sono stato lasciato l’atmosfera è diventata più tranquilla. L’atteggiamento nei miei confronti è cambiato non alzavano più la voce ed era più facile comunicare con loro. Ho chiesto dove fossimo. Hanno risposto che ero in Bielorussia, nella regione di Vicebsk. Mi hanno detto anche il nome di un villaggio vicino, anche se sembrava che loro stessi non ne fossero sicuri. Ma questo fatto mi ha aiutato molto nel momento quando sono scappato attraverso le foreste.
A questo punto vorrei interrompere questa storia. Posso solo dire che da qui in poi tutto è stato molto più complicato.
Perché pensi che i russi non ti abbiano consegnato direttamente nelle mani dei servizi segreti bielorussi?
Quando ho capito di essere seguito e che presto mi avrebbero preso, ho dato ai miei amici istruzioni su cosa fare in caso della mia detenzione. Ha chiesto di contattare i media e trovare un avvocato, cosa che è stata fatta, come molte altre cose. Questo mi ha salvato, come ho scoperto in seguito dopo essere uscito dalla Bielorussia. Ho appreso mentre ero in cella della pubblicità, della presenza di un avvocato a cui non era permesso incontrarmi e di altri fatti che mi hanno aiutato psicologicamente e mi hanno permesso di comportarmi in modo più sicuro. Come l’ho scoperto, preferirei non dirlo.
Vorrei sottolineare che dopo il rilascio sul territorio Bielorusso sono stato a lungo senza comunicare con nessuno ed in seguito, una volta fuori dalla Bielorussia, quando sono stato in grado di mettermi in contatto con qualcuno, ho ripristinato la cronologia degli eventi, sono riuscito a scoprire cosa era successo e come. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal numero di persone che si preoccupavano per quello che mi era successo, e al contrario, per la caccia all’uomo che è stata organizzata per catturarmi e per come i servizi segreti hanno agito con che furbizia e senza regole. Ma per ora ometteremo questa parte.
So che ad aiutarmi sono stati molti fattori, il principale sono stati i media. Prima dell’arresto sono riuscito a parlare con i giornalisti russi e rilasciare un’intervista al canale televisivo «Dozhd». Molti erano a conoscenza della mia situazione e quando è avvenuto l’arresto, hanno cercato di aiutarmi in qualche modo, compreso lo staff del suddetto canale televisivo.
Inizialmente il piano era di trattenermi per 48 ore con qualsiasi pretesto e poi consegnarmi alle autorità bielorusse. Ma quando la notizia del mio arresto si è diffusa gli agenti hanno visto che tutto ciò che mi accadeva arrivava immediatamente ai media. Era ovvio che se fossi stato trasferito direttamente al KGB significava che la Russia stava aiutando direttamente Lukashenko. A quanto pare, sebbene avessero un piano per me non avevano ancora deciso come muoversi. Non potevano nemmeno permettermi di partire per la Lettonia: il giorno dopo sarebbe stato pronto il visto. Pertanto, hanno deciso di deportarmi senza consegnarmi direttamente alle autorità bielorusse, ma informandole attraverso i loro canali per farmi catturare così da non essere immischiati direttamente. Solo dopo gli eventi di Pskov ho capito di cosa si trattasse e ho cambiato di conseguenza la mia tattica.
È stato molto difficile, i miei piani crollavano uno dopo l’altro, al confine dell’orientamento, senza connessione perchè mi ero sbarazzato dei telefoni, e tanti altri dettagli, ma dovevo scappare. Mentre l’FSB russo partiva, non ho aspettato l’arrivo di un altro autobus, solo con quello bielorusso, ma mi sono subito precipitato nella foresta. Come si è scoperto – avevo fatto bene. Presto ho sentito l’inseguimento. Hanno corso a lungo nella foresta dietro di me, ma non mi hanno trovato. Ho capito che in Russia la pubblicità sui media mi ha aiutato, ma qui non avrebbe funzionato, quindi o mi liberavo o sarebbe stata la fine della mia storia. E quello che è successo in Russia è sufficiente per raccontare le storie epiche sia per i figli che per i nipoti. Ho deciso che non mi avrebbero preso, che avrei agito al massimo. Se hanno iniziato un gioco con me senza regole, io ci sarei stato ed avrei fatto tutto ciò che sapevo e potevo.
Come potete vedere, sono riuscito a scappare, ma quello che è successo in Russia si è rivelato essere solo un riscaldamento prima di tutto il resto… Per ora è tutto. Forse scriverò un libro. Quando il governo cambierà potrò pubblicarlo.
Dopo i fatti del 9 agosto, ci sono stati altri licenziamenti di dipendenti per motivi di coscienza. Perché è stata proprio la tua partenza a provocare tanto scalpore? Questo è collegato al Comitato Investigativo, dove hai lavorato, con la tua partenza per la Russia? Forse con i casi su cui stavi indagando?
Sì, per quanto ne so sia prima che dopo di me, vari dipendenti, compresi quelli del Comitato Investigativo, si sono licenziati. Penso che il problema sia nel mio rapporto, dopo averlo consegnato ho deciso di partire per la Russia. Ero di guardia per 24 ore ed ho assistito a quei accadimenti terribili di cui ho scritto nel rapporto. Prima di questi fatti ci sono stati altri momenti dopo i quali avevo pensato di lasciare il mio lavoro. Ad esempio, sono andato a una stazione di servizio per comprare dell’acqua e mi hanno quasi lanciato il resto in faccia. Ero in divisa del comitato investigativo. I colleghi hanno raccontato di come hanno preso un taxi, ma l’autista se era rifiutato di accettare il loro denaro dicendogli: «Quando ho preso l’ordine, non sapevo che fossi uno di loro, altrimenti non sarei partito. Non prenderò i tuoi soldi». Noi non prendevamo parte alle repressioni, non torturavamo le persone… Ma poi ho capito che non importa più. L’autorità di tutte le strutture di potere governativo è stata distrutta. Appartieni alle forze dell’ordine oppure no, non importa!
Tutto questo si è sovrapposto e dopo il turno, o meglio, durante la notte in turno ho scritto quel rapporto. L’ho scritto in preda alle emozioni, ho descritto tutto com’era, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Poi ho dormito, e, riletto il rapporto, mi ero reso conto se lo avessi lasciato così mi sarei messo nei guai. Ho cominciato a dubitare. Ma vivevo in un appartamento del quartiere Kamennaja Gorka e le finestre dell’appartamento si affacciavano sulla strada dove le donne stavano con i fiori durante le azioni di solidarietà. E io stesso uscivo li la sera, ma questo non importa… Vedevo che le persone restavano lì, non si disperdevano, non si arrendevano. Era possibile, ovviamente, scrivere un rapporto sintetico secondo il modello di licenziamento semplice. Ma ho visto tutte queste persone, abbiamo visto tutti cosa hanno fatto ai detenuti nei centri di isolamento. Le persone scrivono appelli, chiedono giustizia e ricevono risposte sconclusionate. Quindi come potevo scrivere un rapporto utilizzando il modello prestabilito? Così ho deciso di inviarlo così com’era.
Capivo, ovviamente, che una reazione ci sarebbe stata e che per evitare problemi sarebbe stato meglio sparire per una settimana, poi scoprire la reazione ed agire di conseguenza. Ma non ero preparato per quello che è successo dopo. Non avevo intenzione di fuggire. Pensavo di andarmene per una settimana, aspettare finché tutto si sarebbe sistemato. Dopo aver trascorso una giornata con un amico a Mosca, ho ricevuto la segnalazione che andava tutto male, che mi stavano cercando, so che sono a Mosca, avevo capito di avere un piccolo vantaggio, di dover andare in fretta dove non sarei stato consegnato alle autorità bielorusse. Ha iniziato a muovermi e già sappiamo in parte cosa è successo dopo.
I tuoi ex colleghi sostengono il tuo atto? Da dove ti era arrivata la segnalazione?
Diciamo solo che l’ho semplicemente scoperto. Non voglio entrare nei dettagli. Sono un investigatore, conosco il mio lavoro. Per capire che un caso è stato aperto, non ho bisogno di vedere il decreto con un sigillo o una foto dal database. Posso capirlo in altri modi, mettendo insieme le informazioni. Ho pubblicato il rapporto il 19 agosto e il procedimento penale ai sensi dell’articolo 425 del codice penale della Repubblica di Bielorussia [Inazione di un funzionario. Prevede una sanzione pecuniaria e il divieto di occupare determinate posizioni e fino a 7 anni di carcere, a seconda della clausola e delle conseguenze – commenta Reform.by], come ho scoperto in seguito, è stato avviato il 20 agosto. Quando viene aperto un procedimento penale i dati vengono immediatamente inseriti nei database, ma per quel che sapevo, non ero stato inserito nei database, si comportavano come se non avessero aperto un caso e non mi stessero cercando. Hanno lavorato in modo astuto in modo che io stessi tranquillo ed agissi apertamente, cosa che aveva permesso loro di catturarmi nella Federazione Russa.
Inizialmente, ero sicuro col tempo necessario per aprire il caso ed essere inserito nella lista dei ricercati internazionali, avrei avuto almeno una settimana di tempo per partire per un altro paese. Dopo essere stato arrestato nella Federazione Russa ho capito che tipo di gioco si stava giocando, quindi ho iniziato a fare analisi più approfondite, raccogliendo informazioni. Il loro modo di agire è stato chiaro quando sono arrivato al confine. Quando mi sono messo in salvo, hanno confermato questa informazione, ho saputo che erano già in corso degli interrogatori riguardo ad un caso che presumibilmente non esisteva. So anche chi sta indagando.
Per legge, un investigatore è una persona proceduralmente indipendente. Cioè, in teoria, Lei o un altro quelli che erano rimasti potevate iniziare le verifiche e salvare le prove raccolte nel loro quadro per il futuro, coprendovi le spalle con ordini di autorità superiori con il rifiuto di avviare procedimenti penali…
Sì, in teoria… Inoltre, secondo la legge, in qualità di investigatore, posso aprire un procedimento penale senza approvazione, condurre un’indagine, sporgere denuncia e inviare il caso in tribunale. In parole povere, potrei fare tutto questo senza una sola firma del capo. Ciò è effettivamente possibile ai sensi del codice penale e del codice di procedura penale. Ma ogni sorta di ordini interni, istruzioni dipartimentali, che sono diventati sempre di più dal primo giorno della formazione del Comitato Investigativo, lo rendono impossibile. Primo, un documento, poi il secondo, il terzo – e alla fine devi coordinare tutto con il tuo superiore. Siamo arrivati al punto che bisogna riferire ogni uscita ed ogni accadimento al dipartimento. E solo dopo che la direzione prende una decisione e ti dice cosa fare. Hanno un riepilogo generale per ogni chiamata e per ogni azione procedurale. E se ora qualcuno avvia un caso senza il consenso delle autorità, allora questo decreto verrà rapidamente annullato e l’investigatore riceverà un richiamo. Se questo è un qualche tipo di procedimento penale ordinario, allora sarà ancora possibile «passare per stupido» – fingere di aver commesso un errore e averlo fatto accidentalmente secondo il vecchio schema, e cavarsela con un rimprovero o privazione del premio. Ma se su un caso chiaramente politico, ad esempio, avvii un caso contro un agente di polizia per violenza contro un manifestante e mostri fermezza, sarai licenziato molto rapidamente.
Ma tu ti sei deciso a farlo…
Sì, ho deciso, ho lasciato il lavoro e me ne sono andato, sebbene fossi il secondo in fila per un appartamento, prima che iniziasse la costruzione di alloggi a fine anno. Ho già raccolto tutta la documentazione. Da un lato ho perso tutto, dall’altro non me ne pento. Perché questi prestiti mi avrebbero legato ancora di più a questo lavoro. È un peccato, ovviamente, ma per me è stato più facile decidere che per molti. Non avevo famiglia, né prestiti, né automobile, né casa. Ho raccolto le cose più necessarie in due valigie – una delle quali è rimasta nel hotel in Russia dove sono stato arrestato dagli ufficiali della Polizia Federale Russa, dove, a proposito, c’erano tutti i miei soldi per l’estensione del contratto di lavoro, messi da parte per un caso del genere – e me ne sono andato.
Per gli altri – quando hai una famiglia, un mutuo per la casa, un’auto e quando ti sono rimasti due anni fino alla pensione – è molto più difficile decidere. Puoi essere messo sotto pressione per tutto questo. Più a lungo lavori nelle forze dell’ordine, più è difficile andarsene. Dopotutto, lavori in un ambiente ristretto ed è molto difficile e persino spaventoso immaginarsi nella vita civile. È molto difficile riconfigurare e andare da qualche altra parte. Puoi andare in un cantiere edile solo come operaio generico, perché non hai una professione edile. Puoi anche andare a lavorare come guardia in un negozio… Ma non è quello che vuoi quando sei il capo o l’investigatore senior. Non parlo nemmeno di potere o denaro. È solo che fare l’investigatore è un lavoro interessante. Ed è ancora più interessante lavorare come agente operativo, poiché c’è meno documentazione da produrre. Questo piace a molte persone, molti in generale ne erano entusiasti: passavano la professione di padre in figlio. Perdere tutto, opporsi al sistema a cui potresti appartenere da generazioni – non tutti ci riescono. Sì, la maggior parte dei dipendenti si riunisce nelle sale per fumatori ed esprime tutto ciò che pensa.
E prima di questo periodo, ci sono stati impulsi a partire?
Per molto tempo mi sono specializzato in crimini contro la persona: omicidio, stupro, lesioni personali gravi. E questo non è solo lavoro, ma lavoro con i destini umani. Il costo di un errore è molto alto. Un caso di lesioni personali può essere formalmente considerato e portato in tribunale e l’aggressore riceverà diversi anni di prigione. E puoi andare a fondo e scoprire che la «vittima» si è comportata molto peggio dell’imputato: questo è un ubriacone disoccupato, mentre l’aggressore è un lavoratore coscienzioso e un padre esemplare di due bambini, che si è difeso, ma ha sfortuna ha voluto che colpendolo abbia ha rotto la mascella dell’aggressore. Quindi il quadro è completamente diverso e pensi già a cosa si può fare nell’ambito della legge per non rovinare la vita di una persona per bene. Se lavori onestamente e coscienziosamente, sei molto preso da tutto questo, ti stanchi molto, non hai abbastanza tempo per te stesso. Non tutti possono sopportarlo. Pertanto, tutti hanno pensieri di tanto in tanto.
Inizialmente, volevo andare a studiare per diventare pilota, mentre sfogliavo la guida delle professioni. Ho visto – «attività di procuratore-esperto-investigativo» e mi è sembrato bello, anche il fatto di non dover lavorare in campagna, ma in città. Ero in buone condizioni fisiche. Quindi sono entrato nell’Accademia del Ministero degli affari interni senza problemi. Ma partire non è facile. I primi cinque anni dopo l’Accademia non puoi andartene, devi andare a lavorare sul posto a te assegnato o pagare per tutti gli studi. Sono molti soldi e non li avevo. Cinque anni di addestramento entrano anche nell’anzianità, perchè i cadetti vanno in servizio e di pattuglia. Li non ti pagano nemmeno una borsa di studio, ma uno stipendio, appunto, con premi ed altri incentivi. Poi cinque anni di lavoro per compensare allo stato le spese per lo studio.
La mia compensazione per l’Accademia si è conclusa il 27 luglio. Ma il sistema è organizzato in modo che l’anzianità di servizio in tutte le strutture di potere viene accreditata solo dopo 10 anni. Bene, si scopre che è stato adattato appositamente in modo che dopo 5 anni di Accademia e 5 anni di lavoro mi mancano 14 giorni per arrivare a 10 anni di anzianità. Ti trovi in questa situazione: firmi un altro contratto oppure ti trovi che a 27 anni ti trovi per strada senza una professione civile e senza un solo giorno di esperienza lavorativa. In una situazione normale uno avrebbe firmato il contratto e lavorato per altri 5 anni, e a questo punto gli mancherebbero solo altri cinque anni prima del pensionamento – quindi non ha più senso andarsene… Dopo 20 anni di questo lavoro, stai già cadendo a pezzi, non hai salute e non puoi pensare di andare da nessun’altra parte. In effetti, sei già una persona diversa. Se non fosse iniziato quello che è iniziato il 9 agosto, forse avrei lavorato tutta la vita
Lei stesso ha considerato le denunce dei cittadini dopo il 9 agosto?
Mi ero trovato in una situazione piuttosto insolita. Quest’anno stavo indagando su un caso molto complesso, per il quale sono stato distaccato presso il dipartimento investigativo della città di Minsk. Ed ero impegnato esclusivamente in questa attività. Pertanto, non sono stato distratto dagli affari politici, anche se molti colleghi sono stati coinvolti nei casi delle elezioni e sono stati costantemente assegnati ai nuovi casi. Sono tornato nel mio distretto letteralmente una settimana prima delle elezioni e speravo che tutto questo clamore politico non mi avrebbe influenzato. Ma non sono riuscito a restare in disparte e hanno cominciato a mettermi in servizio come investigatore presso il dipartimento di polizia. Durante il mio primo servizio sono stato in qualche modo fortunato e non è successo niente di particolare. Ci sono stati incidenti ordinari non legati alla politica. E all’ultimo servizio, a quanto pare, non avrei nemmeno dovuto esserci. Ho semplicemente sostituito una persona. E a quel punto si sono verificate le situazioni che ho descritto nel rapporto…
Vai sul luogo dell’accaduto come capo del gruppo operativo-investigativo, pensi di risolvere qualcosa, ma poi arriva una persona sconosciuta e ti dice: «Sono da parte del generale Tal dei tali, ho bisogno di parlare con le vittime». E capisci che sei il suo superiore, e la gente ti guarda, ma non puoi fare niente, perché qualcuno dall’alto «risolve la questione», intimidisce le vittime. Puoi, ovviamente, assumere la posizione di «la mia casa è sul lato del villaggio» [un modo di dire per definire una persona che se ne lava le mani da una faccenda] – tu stesso non hai picchiato nessuno… Tuttavia, la responsabilità è la tua. Dopo questo servizio, mi sono detto che non avrei più lavorato.
Ogni licenziamento pubblico di funzionari della sicurezza fatto per protesta provoca scalpore nei media. Ma ci sono molti licenziamenti in silenzio che passano inosservati ai media? Hai informazioni al riguardo?
Quasi tutti i miei conoscenti si sono licenziati rendendo pubblico il motivo. Perché se scrivi solo un rapporto, verranno da te, ti verranno alle orecchie e al cervello: «Resta, sei solo stanco, ora ti mandiamo in vacanza, assegneremo l’incarico ad un’altro». E questi discorsi durano per due ore. Ho visto molte volte che venerdì una persona scriveva il rapporto di dimissioni, durante il fine settimana veniva convinto e lunedì tornava al lavoro.
Credo che per la prima volta i ministri del blocco di potere – il sig. Khrenin, il sig. Karayeu – si siano rivolti ai loro subordinati tramite degli appelli. Senza istruzioni o ordini, ma appelli pubblici, appelli. Il signor Makey si è rivolto ai diplomatici allo stesso modo. Il discorso di Lukashenko ai pubblici ministeri era fatto allo stesso modo. Questo indica una sorta di crisi governativa?
Penso che la parte intellettuale dell’intero blocco di potere, che non occupa posizioni di comando, sia mentalmente dalla parte del popolo. Ma queste persone sono in una posizione molto vulnerabile e lo capiscono. Affrontarli uno alla volta non crea problemi. Ma se inizia la resistenza collettiva al sistema diventa una questione completamente diversa.
Anche sulla scala di un distretto – se due o tre investigatori escono – prendi questi 5-6 casi e li distribuisci tra gli altri. Così tutti non riceveranno 6, ma 7-8 casi alla volta. Già ora fino al 60% degli agenti investigativi sono donne. Oltre al lavoro, tradizionalmente hanno anche l’impegno dei figli e della gestione domestica. Non possono passare tutto il giorno al lavoro come gli uomini.
Anche se mettiamo da parte l’insoddisfazione per la situazione politica… La gente inizierà semplicemente a chiedersi: ho bisogno di un lavoro del genere se ci devo dedicare tutto il mio tempo? Una o due persone si licenzieranno, poi un’altra se ne andrà per motivi politici… Il carico dei casi aumenterà ancora di più. E cosa fare con i casi? I termini di elaborazione si estenderanno e i casi si accumuleranno. Poi qualcun’altro lascerà, perché non aveva studiato per diventare investigatore per poi essere inviato come rinforzo alle manifestazioni e correre con una telecamera in mano.
La politica è politica, ma la criminalità non è andata da nessuna parte e non andrà da nessuna parte. E quali ordini possono funzionare in una situazione del genere? Ancora un po e il punto di non ritorno sarà semplicemente superato. Uno per uno, inizieranno ad andarsene in massa per una serie di motivi. Vedono che il sistema sta soffocando. Non c’è abbastanza forza, quindi non sanno chi altro impiegare. E per questo vengono utilizzati gli slogan: «Pericolo! L’Occidente sta cercando di invaderci. Anni ’90!» Quali anni ’90? Sono passati 30 anni da quei tempi. Dimenticatelo.
Perché allora la polizia antisommossa e le altre forze di sicurezza sono così violenti sulle strade?
Non capisco perché la polizia antisommossa agisca in quel modo. Posso solo dire che non ho idea di come i servizi di sicurezza bielorussi ripristineranno la loro reputazione e la fiducia agli occhi della gente dopo quello che è successo.