I medici bielorussi che hanno manifestato parlano della lotta contro le torture, le repressioni e il coronavirus
5 novembre 2020, 00:02 | Aliaksandr Nepahodzin, LENTA.RU
Da quasi tre mesi i medici bielorussi stanno sostenendo i manifestanti contro Aleksandr Lukashenko. Non sono rimasti da parte e dopo che Svetlana Tikhanovskaya ha annunciato il 26 ottobre uno sciopero generale chiedendo nuove elezioni e l’interruzione delle violenze da parte della polizia antisommossa. L’amministrazione e gli agenti delle forze dell’ordine non fanno sconti ai medici che protestano, nonostante l’importanza del loro lavoro: vengono arrestati, picchiati brutalmente e licenziati, esattamente come tutti gli altri. «LENTA.RU» con l’aiuto della Fondazione di solidarietà Bysol che aiuta i bielorussi vittime a causa della loro opinione politica, ha contattato i medici partecipanti alle proteste. Hanno raccontato che cosa hanno dovuto sopportare nel carcere giudiziario, quali metodi di pressione usa l’amministrazione degli ospedali in tale situazione, come lottare contro il coronavirus che di nuovo ha iniziato a diffondersi.
Arresti e torture
Vladimir Gorokh. Paramedico dell’istituto sanitario statale Centro regionale di pronto soccorso di Minsk. È stato arrestato mentre forniva assistenza medica alle vittime durante le proteste a Minsk il giorno dopo le elezioni. Ha dovuto lasciare il paese.
«La notte del 10 agosto ho letto cosa stava succedendo in città e non sono riuscito a stare a casa quando la gente aveva bisogno del mio aiuto. Ho messo il mio camice per dimostrare che sono un medico, non sono un agente in borghese e neanche un manifestante, ho preso un kit di pronto soccorso. Intorno a mezzanotte è iniziata la dispersione con l’uso di armi e granate stordenti. La gente ha iniziato a correre, io sono rimasto a guardare quello che stava succedendo. Ad un certo punto, quando non c’era più nessuno nelle vicinanze, ho visto un uomo anziano sdraiato a terra che stava cercando di alzarsi tenendo la mano sull’addome. Non ci ho pensato molto, sono corso da lui. So quanto sia alta la mortalità a causa delle ferite all’addome, data la condizione mentale degli agenti antisommossa, che prima picchiano e poi guardano.
L’anziano aveva una ferita penetrante alla parete addominale con gli organi addominali che fuoriuscivano dal corpo, un’emorragia interna e una ferita alla gamba. Sono corso verso di lui e ho iniziato a prestargli soccorso, in quel momento un’altra granata ci è stata lanciata addosso. Bene, ho avuto il tempo di voltare le spalle, coprire il ferito accadimenti prima della detenzione.
Gli agenti delle forze dell’ordine lanciano una granata dal cellulare di polizia e mi guardano. E io sono in ginocchio con un camice bianco e chiedo loro aiuto. Ho iniziato a urlare contro di loro dicendo che un uomo potrebbe morire qui, garantitemi la sicurezza e chiamate un’ambulanza. Sembravano un po’ presi alla sprovvista, vedendo l’intestino fuoriuscire dal corpo del ferito, mi hanno circondato ma comunque hanno chiamato un’ambulanza. Sono rimasto lì anche quando i colleghi sono arrivati, li ho aiutati, ho dato indicazioni agli agenti della polizia antisommossa in modo che potessero caricare l’uomo su una lettiga. A proposito, quell’uomo anziano a cui stavo fornendo assistenza medica era un investigatore del Comitato inquirente in pensione. Vi posso anticipare che alla fine è sopravvissuto, ha subito un intervento chirurgico, e nonostante se la sue condizioni critiche, e si è riabilitato. Un mese fa ho sentito che è vivo e che sta bene.
Non mi hanno lasciato accompagnare la vittima in ospedale. Si avvicinò un agente e mi disse: «Signore, venga con noi». Mi ha preso per il camice dicendo che sarebbe stato meglio se fossi andato con le buone. Lo guardo negli occhi e gli rispondo: «Come mai? Hai visto che stavo prestando soccorso a quell’uomo». E lui mi replica: «Non fare stupidaggini, vieni». Mi hanno immobilizzato, legato le mani con una fascetta di plastica e mi hanno fatto salire sul cellulare della polizia. Non ho opposto resistenza. Pensavo che altrimenti sarebbe andata molto peggio. Questi agenti antisommossa, naturalmente, poi mi hanno picchiato duramente. Anche oggi ogni tanto perdo sensibilità alle mani a causa di danni alle radici nervose. Almeno mi hanno dato possibilità di fornire assistenza, non hanno subito portato via, hanno visto la situazione, mi hanno garantito la sicurezza, hanno chiamato un’ambulanza. Nelle condizioni normali dovrebbe essere così, ma in questi tempi folli e considerando come si comportano ultimamente, è stato fantastico, devo ringraziarli.
Io e gli altri arrestati, siamo stati portati nel centro di detenzione temporanea in via Okrestino intorno all’01:30 dell’11 agosto. Lì ci hanno costretto ad inginocchiarci con faccia a terra fino alle 05:00 del mattino, poi ci è stato permesso di sdraiarci proni sull’erba fino alle 08:00 e poi siamo stati trasferiti nel cortile. Ho dovuto stare in ginocchio sul cemento fino alla sera dello stesso giorno. Periodicamente, le persone venivano portate via per gli interrogatori.
Nessuno è stato lasciato andare in bagno. Anche l’acqua ci è stata data solo la sera e solo allora ci hanno permesso di alzarci in piedi e ci hanno portato in cella. Ci hanno fatto spogliare tutti fino alle mutande e ridevano di noi dicendo «che bella abbronzatura» — eravamo blu di lividi.
Qualcuno era sospettato di aver commesso un reato, nei confronti di altri sono stati aperti casi amministrativi, hanno eseguito sul posto sia l’attività investigativa che i processi. Ho passato quattro giorni nel centro di detenzione, e due giorni dopo il rilascio ero sull’autobus che andava in Polonia. A proposito, gli investigatori davano per certo che non avevo fornito alcun aiuto a nessuno e mi trovavo per caso nel luogo di detenzione, anche se indossavo il camice, avevo un kit di pronto soccorso, e mi aveva scortato un distaccamento di polizia antisommossa».
Anna Suschinskaya. Anestesista dell’Ospedale clinico regionale di Minsk. Il 27 ottobre è stata arrestata durante un’azione di solidarietà con i colleghi del Centro scientifico e pratico repubblicano (RNPC) «Cardiologia», che si è svolta vicino all’Ospedale regionale.
«Siamo andate alla manifestazione insieme ad una mia collega, sul nostro cartello c’era scritto «IO/NOI del Centro scientifico e pratico repubblicano Cardiologia». Non avevamo con noi alcun simbolo, non abbiamo urlato nulla. Siamo stati tutti arrestati da otto agenti della polizia antisommossa. Abbiamo anche visto alcuni agenti in borghese senza alcun segno di riconoscimento.
Non ci hanno spiegato perché siamo stati arrestati, non si sono presentati. Come se nel nostro paese fosse dato per scontato il fatto di poter essere arrestati da non si sa chi, perché e quando, e portati al dipartimento di polizia.
Tuttavia, non posso dire che siamo state maltrattate. La mia amica è stata arrestata senza utilizzo della forza fisica, mi hanno afferrata per la giacca perché impaurita ho iniziato a scappare, ma questo è tutto. Non urlavano, non ci insultavano, non ci picchiavano. Nel dipartimento di polizia del distretto Borovlyansky, vicino all’ospedale, dove siamo state portate, eravamo trattate umanamente e rispettosamente. Penso che sia perché molti agenti di polizia lavorano con noi regolarmente, gli forniamo le informazioni sui nostri pazienti. Però la nostra storia è una di quelle poche positive rispetto ad altre storie».
Olga Sadovskaya. Farmacologo clinico dall’Ospedale clinico n.6 di Minsk. È stata arrestata il 13 settembre, è stata vittima di percosse nel dipartimento di polizia, ha trascorso un giorno in carcere giudiziario.
«Era la tradizionale marcia di solidarietà della domenica. Siamo stati circondati e trattenuti sulla strada verso il luogo del raduno» – una storia alla quale siamo già abituati, purtroppo. Quel giorno, la polizia antisommossa ha agito in modo duro e violento. Io e gli altri detenuti siamo stati portati in giro in un minibus per un’ora e mezza, poi al Dipartimento di polizia del distretto Sovetsky dove ci hanno messo in linea contro il muro nel cortile, anche se fuori faceva già freddo.
Abbiamo trascorso sei ore vicino al muro nel cortile con gambe allineate alle spalle ascoltando insulti, umiliazioni, minacce di spararci, portarci nel bosco. Con le ragazze parlavano in maniera particolarmente rude. I poliziotti hanno giocato a fare i fascisti dandoci dei ordini in tedesco.
Noi, naturalmente, non sapevamo dove ci stessero portando perché nessuno ci diceva nulla, nessuno ci spiegava perché eravamo detenuti, nessuno ci aveva spiegato i nostri diritti, gli avvocati non erano ammessi, non fornivano nessuna informazione sui detenuti ai parenti riuniti davanti al Dipartimento di polizia. Ancora peggio: fino alle 23:00, mentre eravamo in piedi contro il muro, alla gente fuori è stato riferito che non c’erano detenuti nel dipartimento, anche se attraverso le fessure nella recinzione era possibile vederli.
Presto mi sono ritrovata nel carcere giudiziario di Zhodino, dove ho trascorso quasi un giorno intero. Anche lì nessuno ci ha spiegato nulla. Poi ho scoperto che quel giorno hanno arrestato un bel po’ di medici in diverse zone di Minsk. La comunità medica ha risposto il giorno dopo, con le pubblicazioni nei media ed il personale del Centro scientifico e pratico repubblicano del reparto «trapianto di organi e tessuti» si è messo nella catena di solidarietà tenendo in mano i cartelli con i nostri cognomi. La protesta pubblica ha fatto il suo compito, e la sera a Zhodino è arrivato il giudice della città di Borisov al fine di simulare un processo. Noi quattro dottori siamo stati rilasciati verso sera.
La punizione è stata principalmente multe, da cinque a trenta stipendi di base. Non c’è alcun principio qui, scelgono il grado di punizione in modo casuale. Nel mio caso, sono stata rilasciata con un mandato di comparizione. Dopo ci sono state alcune sedute del tribunale, e alla fine il caso è stato rinviato al Dipartimento di polizia per la revisione. Fino ad oggi non c’è stato un processo finale. Entro il 15 novembre c’è ancora tempo. Se non ci sarà alcun processo, alla scadenza del termine di prescrizione, il caso sarà chiuso».
Andrey Vitushka. Anestesista-rianimatore del RNPC «Madre e figlio». Il 10 agosto è stato arrestato insieme a sua moglie quando sono venuti al Dipartimento di polizia per cercare il figlio. Hanno trascorso tre giorni nel centro di detenzione in via Okrestina e subito percosse.
«Il 10 agosto, verso mezzanotte io e mia moglie Cristina siamo stati arrestati vicino al Dipartimento di polizia del distretto Tsentralny di Minsk. Tre ore prima, nostro figlio Miron era scomparso. Mia moglie e mio figlio in quel momento stavano semplicemente andando da mia madre, che vive nella zona dell’obelisco «Minsk — città eroe», il luogo della prima dispersione dei manifestanti.
Un adolescente di 16 anni era stato rapito in mezzo alla strada di fronte a sua madre, infilato in un minibus e portato via in una direzione sconosciuta, dopo averle gridato che avrebbe potuto andare a prenderlo al dipartimento di polizia.
Vicino al dipartimento di polizia eravamo circa 10-15 persone, per lo più parenti dei detenuti in cerca di notizie sui propri cari. Nessuno ci ha riferito niente. Quando una macchina della polizia stradale e due camion della polizia si avvicinarono all’edificio, andai ad incontrarli pensando che finalmente portassero nostro figlio. Tuttavia, dalle macchine sono usciti degli agenti della polizia antisommossa, due di loro hanno immobilizzato me e mia moglie e, senza ascoltare le spiegazioni, siamo stati spinti in un camion insieme ad altre persone. Vicino all’obelisco, siamo stati divisi e caricati in сellulari della polizia, e poi mandati al centro di detenzione in via Okrestina.
Sai… queste erano torture vere e proprie. Quasi tutto il personale del centro di detenzione urlava bestemmiando, insultava ed umiliava i detenuti. In una cella da sei persone ce ne erano 32, e nella vicina cella a quattro posti per le donne ce n’erano 53. Sono stato picchiato meno degli altri, solo un po’ quando mi hanno arrestato ed un po’ una volta arrivati sul posto.
Per giorni non ci hanno dato da mangiare, mancava carta igienica e sapone. Non c’era abbastanza aria. La luce era sempre accesa. Cristina ha sofferto molto di più – nella sua cella c’era meno spazio e più persone. Mia moglie ha il diabete insulino-dipendente, non le è stata somministrata insulina, non è stata autorizzata a misurare i livelli di zucchero nel sangue e non le è stato dato niente da mangiare.
Mia moglie non avrebbe dovuto essere lì. Secondo la legge, se nella famiglia ci sono figli minori, non si può privare della libertà entrambi i genitori contemporaneamente. Tuttavia, ha trascorso quasi tre giorni nella prigione in via Okrestino. Poi si è scoperto che Miron era stato portato in un’altra stazione di polizia, dove è stato tenuto per circa sei ore, anche se per legge non possono trattenerlo più di tre ore. Lo hanno picchiato costantemente – il medico legale poi ha registrato più di 10 ematomi sul corpo. I colleghi hanno risposto all’accaduto con molta solidarietà. Tutti erano preoccupati e, chi poteva, faceva tutto il possibile per trovarmi. Dopo il rilascio mi hanno aiutato molto a tornare alla normalità».
Aleksei Belostotsky. Urologo all’Ospedale clinico n.4 di Minsk. Il 2 settembre è stato arrestato e portato nel centro di detenzione Okrestina. Dopo le violente percosse era in ospedale, ora è in fase di riabilitazione nella Repubblica Ceca.
Sono stato arrestato il 2 settembre verso le 19:00 vicino alla stazione della metropolitana Pushkinskaya. Il memoriale popolare ad Alexander Taraikovsky (il primo manifestante ucciso) era coperto di sabbia quel giorno. Mentre guidavo, da lontano ho visto una folla di persone, mi sono fermato a chiedere se servisse dell’assistenza medica. Poi ho aiutato a rimuovere la sabbia dal marciapiede. C’era un poliziotto molto arrogante che ha cercato di disperdere tutti, sono andato da lui e gli ho chiesto di presentarsi, visto che non aveva tessera né distintivo. Cinque minuti dopo, 10 persone in abiti civili si sono avvicinate e sono stato arrestato. Nessuno di loro si è presentato, non mi hanno chiesto nulla, mi hanno semplicemente preso per le braccia e portato nel minibus.
Sono stato duramente picchiato mentre mi trasportavano al Dipartimento di polizia. Una volta lì sono stato colpito ancora diverse volte, due colpi sono finiti sulla testa, cercavano apposta di colpirmi sulle orecchie e una volta sul petto.
Dal Dipartimento di polizia sono stato portato al centro di detenzione di via Okrestino. Lì non sono stato picchiato. Alla fine mi hanno ricoverato in ospedale per due volte. Poco dopo le dimissioni dall’ospedale uno dei colleghi mi ha mandato un indirizzo email per richiedere assistenza medica in Repubblica Ceca. Ho scritto lì, ho inviato i miei certificati medici ed i dati degli esami. Mi è stato offerto di fare la riabilitazione da loro. Allo stesso tempo, in Bielorussia, ho fatto le cure a mie spese, invece in Repubblica Ceca tutto viene pagato dalla parte ricevente. Aiutano non solo i medici, ma anche tutte le vittime che hanno chiesto aiuto».
Sulla pressione da parte dell’amministrazione e sui licenziamenti
Vladimir Gorokh. Paramedico dell’istituto sanitario statale Centro regionale di pronto soccorso di Minsk.
Non sono stato licenziato. Mi sono dimesso il 1 agosto, ancor prima delle elezioni. Diciamo solo che non era direttamente correlato alla politica e alle persecuzioni a causa delle mie idee. Volevo cambiare lavoro, mi aspettavano altrove, e allo stesso tempo avevo appena ricevuto il visto per la Polonia. Ho pensato fino all’ultimo, ho ragionato se partire o no, ma dopo le violenze nel carcere giudiziario è diventato chiaro che dovevo andarmene. Nel giro di un mese dopo il rilascio hanno chiamato mia madre, mi ha cercato il Comitato Investigativo, alcune persone senza documenti sono venute a casa mia a cercarmi. Anche se ufficialmente non mi dicono cosa vogliono da me. Ora sono in Polonia in una situazione poco chiara. Faccio alcuni lavori part-time ed ho bisogno di aiuto materiale. A Wroclaw ho trovato un posto di tuttofare, sono coinvolto nella costruzione di un ospedale per infettati dal coronavirus. Ovviamente questo non mi piace.
Anna Suschinskaya. Anestesiologo dell’Ospedale della regione di Minsk.
Il nostro primario ci aveva convocati e ci ha parlato con tono molto brusco. Ha detto che i dipendenti che avevano una certa opinione politica non avrebbero dovuto lavorare in un ospedale statale.
In una conversazione privata il primario ha detto che intendeva licenziarci. Se non ora, immediatamente il giorno dopo la manifestazione, allora più tardi, trovando le motivazioni sufficienti, dei presupposti. In seguito ha negato tutto. Quando ha parlato con la nostra squadra, quando i dottori sono venuti a parlare con lui per chiarire la situazione, perché ci aveva minacciati, il primario ha ritrattato le sue parole, assicurandoci che non ci avrebbero licenziato per motivi politici. Vedremo.
Оlga Sadovskaya. Farmacologo clinico dell’Ospedale #6 della città di Minsk.
Non si è parlato apertamente del mio licenziamento, la direzione ha cercato di ammorbidire la situazione, anche se subisco costantemente una leggera pressione da parte loro.
Per un mese, forse un mese e mezzo, le autorità hanno continuamente chiamato la direzione dell’ospedale con la domanda: «Allora, per quanto tempo ancora questa donna lavorerà da voi?» Nel senso che dovevano licenziarmi…
Tutto dipende dall’umore dell’amministrazione, da quanto sia adeguata la persona che gestisce l’ospedale o la clinica. Tra i licenziamenti più clamorosi c’è quello del direttore del Centro pratico – scientifico della Repubblica di Bielorussia «Cardiologia» Alexander Mrochek, che ha apertamente difeso i suoi dipendenti, che sono stati arrestati all’inizio di agosto, e gli interventi chirurgici programmate sono state temporaneamente sospese.
I medici avevano scritto una lettera collettiva, sottoscritta anche da Alexander Gennadievich. E letteralmente poche settimane dopo, il nostro Ministro della Salute è stato sostituito e il suo primo atto è stato quello di licenziare Mrochek. Naturalmente, non era altro che per motivi politici. Questa persona è stata chiaramente licenziata a causa della sua posizione civile. Il secondo licenziamento importante è stato quello di Viktor Snezhitsky, rettore dell’Università di Medicina di Grodno. Ha sostenuto le proteste, ne ha anche parlato apertamente su Facebook. Dopo di che è stato licenziato. Ha perso il posto di senatore. Questi sono licenziamenti reali e di alto profilo che tutti conoscono. Ci sono anche quelli che si dimettono di loro spontanea volontà».
Alexey Petkevich. Ex capo del dipartimento di endoscopia del Centro Clinico medico dell’Ufficio del Presidente della Repubblica di Bielorussia. Il 14 agosto si è dimesso per protesta contro le violenze e a causa delle successive repressioni è stato costretto a lasciare il Paese.
Una bella mattina mi sono alzato, ho guardato il reportage dal centro di detenzione di via Okrestino, e questo è stato l’ultima goccia. Sono andato alla riunione, ho aspettato che questa terminasse ed ho scritto la lettera di licenziamento.
La pressione sugli operatori sanitari esiste da quando esiste questo regime. Sono partito per Mosca nel 2010, perché non sono d’accordo con il sistema, non falsificavo le statistiche del reparto oncologico, quando ero primario.
Dopo il licenziamento, ho dovuto lasciare l’appartamento di servizio in un giorno prestabilito. Fino a quel momento ho fatto in tempo a rilasciare diverse interviste. Dopo una di loro, mi hanno chiamato dall’amministrazione della clinica e mi hanno chiesto di tornare con urgenza a casa mia. Questo mi ha messo in guardia, ho chiamato l’avvocato, ho chiamato mio figlio. Ha notato un autobus con i vetri oscurati senza numeri nel nostro cortile davanti alla casa, un’auto della polizia, anche nel cortile dall’altro lato. Non so se erano venuti per me o no. Ho deciso di non verificarlo. Ho chiamato un amico, ho buttato via la mia SIM card e sono scappato.
Poi alcune persone mi hanno contattato su Facebook e hanno detto che potevano aiutarmi. All’inizio non l’ho preso sul serio. Poi, quando mi ero reso conto che avevo davvero dei problemi, ho iniziato a rispondergli, ma con attenzione – non si sa mai, se sono gli agenti del KGB che hanno creato una pagina e scrivono, vogliono sapere dove sono. Perché ho acceso il telefono solo dopo essere arrivato in Lituania.
Mi hanno nascosto in Bielorussia per quasi due settimane. Gli estranei mi hanno dato un riparo,dei soldi, cibo e i vestiti. L’ho preso per un miracolo. Sapevano chi fossi, potenzialmente hanno corso dei rischi, ma mi hanno comunque aiutato.
Ora non resta che stare qui con mani incrociate ed aspettare che Lukashenko venga abbattuto… non so quanto tempo ci vorrà. Tutto questo mi ha scosso molto. Vedo che posso trovare un lavoro ovunque in Europa. Ma non sono venuto qui per quello. Al momento ho un visto per tre mesi per restare qui. Se i visti della mia famiglia non verranno prorogati, mi ne ritornerò in Bielorussia a mio rischio e pericolo. Se mi devono arrestare, mi arrestassero. Ma questo succederà solo in un caso estremo, le autorità lituane hanno promesso di estendere i loro visti. Mia figlia va a scuola. Mia moglie ed io stiamo imparando il lituano. Naturalmente, se oltrepasserò quel punto di non ritorno, quando mi abituerò a stare qui, e sarà impossibile tornare, resterò qui».
Оlga Sadovskaya. Farmacologo clinico dell’Ospedale #6 della città di Minsk.
È semplicemente impossibile sopportare questa violenza. Un collega nella mia clinica, traumatologo, docente del dipartimento dell’Università statale della Medicina Evgeniy Zhuk è stato arrestato il 10 agosto. Ha sofferto fisicamente, è stato picchiato ed ha trascorso diversi giorni nella prigione a Zhodino. Dopo di che, non ha potuto più lavorare più ed ha scritto una lettera di licenziamento di sua spontanea volontà. Ci sono molti casi simili in cui le persone hanno lasciato il lavoro di propria iniziativa. Il resto dei dipendenti è semplicemente sotto pressione sistematica, ti dicono, ti licenzieremo, non sarai in grado di trovare un lavoro, avrai grosse difficoltà. E poiché il nostro sistema sanitario è quasi interamente di proprietà statale, la paura di perdere il lavoro è davvero grande. Pertanto, molti, purtroppo, tacciono, hanno paura di lasciare il proprio posto».
Andrey Vitushko. Anestesista-rianimatore del Centro Pratico-Scientifico della Repubblica di Bielorussia «Madre e figlio», vittima delle violenze nel carcere di via Akrestsina.
Chiaramente, i casi di pressione sui colleghi da parte della direzione sono stati moltissimi. Hanno subito pressioni per aver partecipato alle proteste, per aver esposto dei simboli della protesta a casa loro, per aver simpatizzato con i manifestanti, per il sostegno agli scioperanti e persino per aver lasciato il sindacato ufficiale dello stato. Al momento, nella nostra squadra sono stati licenziati almeno otto operatori sanitari – una parte di loro «ai sensi dell’articolo», l’altra «per accordo tra le parti», anche se non c’era nessun accordo – c’erano pressioni da parte delle autorità per far sì che si sbarazzassero dei lavoratori indesiderati. Il più famoso di quelli licenziati è, ovviamente, l’accademico Alexander Mrochek».
La battaglia contro il Covid-19 come sfondo delle proteste
Andrey Vitushko. Anestesista-rianimatore del Centro Pratico-Scientifico della Repubblica di Bielorussia «Madre e figlio», vittima delle violenze in carcere di via Akrestsina.
Per quanto ne so, nel nostro ambiente ci sono meno arrestati e condannati in confronto ad altri, per esempio, nell’istruzione o nei media statali. Ciò dimostra una certa sanità mentale dei responsabili del sistema sanitario nazionale che valutano sobriamente il potere della solidarietà medica. Tuttavia, la situazione potrebbe cambiare se al vertice si decidesse di «espellere e reprimere», qualunque cosa accada.
Inoltre, probabilmente non sono entusiasti dell’idea di «smuovere» la comunità medica con licenziamenti di massa, specialmente durante la seconda ondata di COVID-19».
Andrey Tkachev. Cofondatore della Fondazione della Solidarietà Medica e del movimento BY_HELP, uno dei organizzatori della campagna by_covid.
In Bielorussia, si ripete la storia della manipolazione delle statistiche, come è stato in primavera. Ogni giorno riceviamo statistiche reali, non quelle pubblicata ufficialmente: una delle forme di protesta per i medici è diventata la possibilità di fornire dati reali sul COVID-19. Ovunque si dice che il compito delle autorità è quello di ridurre al minimo l’attività di protesta nelle strade. Pertanto, stanno proponendo l’argomento COVID-19 nei loro interessi. Come ad esempio vietando di fare passeggiate. La situazione con il coronavirus ora è peggiore rispetto alla primavera in termini di aumento dell’incidenza. Ma come vediamo, nessuna misura è stata presa o pianificata. Lo Stato ci tratta con assoluto disprezzo.
Quando è utile e conveniente per lo Stato, questo ricorda che il coronavirus esiste e vieta, ad esempio, le visite degli avvocati agli detenuti in carcere, la consegna dei pacchi portati dai parenti per i detenuti e limita gli eventi di massa quando possibile. Quando invece è scomodo, il coronavirus non esiste».
Anastasia Pilipchik. Cofondatrice della Fondazione della Solidarietà Medica, ex capo del dipartimento per i servizi medici degli impianti sportivi della Fondazione «Direzione dei II Giochi Europei 2019».
Se per la maggior parte della popolazione i fattori scatenanti per andare alle proteste sono state le elezioni, i medici erano arrabbiati già a partire dalla primavera. Per quale motivo? L’atteggiamento delle autorità e nello specifico di Alexander Lukashenko nei confronti della situazione con il coronavirus. Capiamo tutti che questa è una crisi, che nessuno avrebbe potuto immaginare che il virus avrebbe viaggiato per il mondo ed ucciso molte persone. Ma in una situazione critica, il supporto è importante.
Quando vieni rimproverato dagli schermi televisivi, quando senti scaricare la colpa per l’infezione sui pazienti stessi – questa non è una conversazione di un capo del governo, è un modo di fare inaccettabile. Questo atteggiamento ha fatto arrabbiare le persone, hanno iniziato a capire come le autorità le trattano davvero si parla della politica di Lukashenko riguardo al COVID-19 durante la primavera.
Era molto importante rivolgersi alla gente, dire, sì, è difficile per noi, ma insieme ce la faremo. Comunicare normalmente la propria posizione sul fatto che la quarantena totale non sarebbe stata introdotta. Anche questo sarebbe stato accettabile. Anche io ero contrario alla quarantena totale: questa non è una soluzione accettabile per quanto riguarda l’economia. Ma questo deve essere spiegato alle persone in modo che capiscano perché viene fatto. È necessario introdurre almeno le misure elementari e parlarne».
Il supporto dei colleghi e delle diaspore
Anna Suschinskaya. Anestesiologo dell’Ospedale della regione di Minsk.
Circa il 60-70 per cento dei medici che conosco, con cui sono in contatto e comunico direttamente, partecipa attivamente alle proteste. E quasi il 90 per cento di tutti i medici ha una posizione di protesta, ma non tutti si dichiarano. Prima dell’inizio delle manifestazioni di solidarietà, letteralmente un giorno prima, il primario ci ha parlato del fatto che la medicina e i dottori sono fuori dalla politica, il nostro ospedale è fuori dalla politica, se esci – questa è la tua opinione privata, e non aspettarti alcun supporto dall’istituzione sanitaria in cui lavori. Quando io e il mio amico siamo usciti, non ci aspettavamo alcun supporto dalla direzione, uscivamo in strada per conto nostro, come dottori».
Оlga Sadovskaya. Farmacologo clinico dell’Ospedale #6 della città di Minsk.
I colleghi ci hanno sostenuto moltissimo, anche loro si sono uniti alla catena della solidarietà, hanno cercato di aiutare, trovare avvocati, hanno rilasciato interviste per rendere pubblica la situazione, in modo che saremmo rilasciati il prima possibile. Secondo la direzione, hanno anche loro hanno fatto degli sforzi per accelerare il nostro rilascio. È difficile giudicare, perché non c’erano annunci ufficiali su questo argomento. Ci hanno detto di aver cercato di farci rilasciare grazie ai loro contatti nel Ministero degli affari interni e nelle strutture di detenzione. Se ci si può credere o no, non lo so. Non ci sono prove di questo».
Alexey Petkevich. Ex capo del dipartimento di endoscopia del Centro Clinico medico della Repubblica (Republican Clinical Medical Center) dell’Ufficio del Presidente della Repubblica di Bielorussia.
Quando mi sono licenziato, la maggior parte dei miei colleghi mi ha sostenuto: mi hanno stretto la mano, alcuni di nascosto, altri apertamente, mi hanno scritto, chiamato. Anche se c’era chi, vedendomi, ha provato a voltarsi dall’altra parte.
Non posso dire che qualcuno abbia seguito il mio esempio, ma altre tre persone hanno lasciato il nostro Centro. Un medico per la sua attività su Facebook è stato messo dalla direzione davanti a una scelta: eliminare tutti i post o lasciare il lavoro. Ha scelto il licenziamento. In realtà non è stato mandato via immediatamente, perché non c’era nessuno a lavorare al posto suo. Gli è stato concesso un mese, ha finito di lavorare e si è licenziato.
La seconda persona ha il mio stesso cognome: Yevgeny Petkevich. Una storia ben nota in Bielorussia. Quando è stato chiesto all’ex ministro della Salute Volodymyr Karanik in un incontro con il pubblico e i giornalisti se ci fossero state delle torture, ha risposto di no. Petkevich gli diede un megafono e disse: «Ripeti in modo che tutti possano sentire che non ci sono state torture nel nostro paese». Dopo è stato convocato nell’ufficio del pubblico ministero e licenziato. Yevgeny ha trovato lavoro in un centro privato «LODE» – due settimane dopo è stato licenziato a causa di una telefonata dall’alto. Ora si sta preparando a lasciare il paese, a quanto ho capito.
Aleksei Belostotsky. Urologo all’Ospedale clinico n.4 di Minsk. Ora in riabilitazione nella Repubblica Ceca.
Ho intenzione di tornare a casa, ma solo dopo che il governo illegittimo se ne sarà andato. Al momento sto valutando la possibilità di restare nell’Unione Europea per un po’, ma voglio comunque tornare in patria. Ho paura delle persecuzioni. La maggior parte dei colleghi è indignata per l’attuale situazione nel Paese, ma c’è anche chi è soddisfatto di tutto. Non c’erano minacce da parte della direzione dell’ospedale riguardo al licenziamento, pressioni – al contrario – mi hanno sostenuto. La direzione ha contribuito a farmi esaminare rapidamente, a darmi una stanza d’ospedale privata e moralmente mi ha sempre aiutato.
Anastasia Pilipchik. Cofondatrice della Fondazione della Solidarietà Medica, ex capo del dipartimento per i servizi medici degli impianti sportivi della Fondazione «Direzione dei II Giochi Europei 2019».
L’idea di creare una Fondazione e un movimento a sostegno dei medici è apparsa quasi subito dopo gli eventi di agosto. I medici, me compreso, sono entrati nella catena della solidarietà quando hanno scoperto quali orrori stavano accadendo nelle prigioni di Zhodino, in via Okrestino a Minsk e in altri luoghi di detenzione dove le persone sono finite nei primi giorni delle proteste dopo le elezioni.
All’inizio, la fondazione Bysol, organizzata dal movimento BY_HELP per aiutare i cittadini bielorussi, era sufficiente per l’assistenza materiale, legale e di altro tipo agli operatori sanitari, ma andando avanti con il tempo la situazione è peggiorata. Medici, infermieri, studenti di medicina hanno continuato a protestare e sono iniziati gli arresti. Uno dei nostri medici è stato picchiato ed è finito addirittura in terapia intensiva. I medici che non sono d’accordo con ciò che sta accadendo vengono licenziati. Il numero di questi casi cresce ogni giorno. Pertanto, alla fine di ottobre, abbiamo deciso di creare una fondazione apposita per aiutare i medici. Ci occupiamo di questioni come aiuto per i medici licenziati.
Non tutti vogliono lasciare la Bielorussia e sono d’accordo con questo. Questo è il nostro paese, perché dovremmo andarcene per accontentare qualcuno? C’è una situazione di crisi nel paese, ed è necessario uscirne, e non solo provare a «rimettere il dentifricio nel tubetto.
Aiutiamo anche chi parte. Il processo per trovare un lavoro all’estero, soprattutto nell’UE, è piuttosto difficile; bisogna preparare la documentazione per diversi anni. Quindi il nostro compito è ottenere indulgenze per i bielorussi, almeno opportunità per organizzare per loro dei stage. Prima di tutto, lavoriamo in Lituania e Polonia, in questi paesi è più facile adattarsi a causa della somiglianza delle lingue, e molti li parlano russo.
Anche le diaspore ci aiutano molto, tra loro anche quella in Russia. Il popolo russo è fraterno con noi. Ma l’unica cosa è che alcuni operatori sanitari possono essere sottoposti a procedimenti penali o amministrativi, e poiché abbiamo una base legislativa comune nel quadro dello Stato dell’Unione su alcune questioni, possono sorgere delle problematiche. Ma nessuno sta respingendo la Russia in secondo piano in termini di ricollocazione dei medici.