Сome vivono le famiglie dei caduti durante le proteste
9 ottobre 2020, 13:35 | Katsiaryna Barysevich, Stanislau Korshunau, Yelena Bychkova, TUT.BY
Sono passati due mesi dalle elezioni presidenziali in Bielorussia, dopo quali il paese ha subito delle violenze senza precedenti. Durante le proteste tre persone hanno perso la vita – Aliaksandr Taraykouski di Minsk, Henadz Shutau di Brest e Aliaksandr Vikhor di Homel. Finora non ci sono informazioni sui procedimenti penali con accuse di omicidio. Vogliamo ricordare i caduti insieme alle loro famiglie.
Aliaksandr Taraykouski, Minsk. «L’accaduto è una mia tragedia personale»
Le persone portano ancora fiori freschi sul luogo della morte di Aliaksandr Taraykouski, ci lasciano dei poster e scrivono con caratteri cubitali sulla strada piastrellata «Non dimenticheremo». Operatori dei servizi comunali diverse volte cospargevano la scritta con il sale, ma «Non dimenticheremo» appariva di nuovo. Yelena Herman, compagna di Aliaksandr, non vede tutto ciò. Dopo il 10 agosto non ha le forze per venire in via Pushkinskaya, solo una volta non ha resistito ed è andata verso il memoriale spontaneo.
«Una volta passavo vicino sul monopattino, pensavo che non volevo toccare le ferite. Poi sono andata, ho comprato dei fiori, mi sono fermata e sono scoppiata a piangere. Non riesco ad immaginare come fa il padre di Sasha che fa ogni giorno questa strada per andare al lavoro». Yelena asciuga le lacrime dal viso con la mano e tace.
Quando ci accordiamo per l’appuntamento lei chiede che l’intervista sia tenuta non nel luogo dove il suo Sasha ha passato gli ultimi istanti della sua vita. Ci incontriamo vicino alla sua casa, lo stesso palazzo dal quale la sera del 10 agosto Aliaksandr Taraykouski è uscito per non tornare più.
«Yelena, si ricorda la sua ultima conversazione con suo marito? Di cosa avete parlato?»
«Quel giorno siamo andati al lavoro insieme, mi ricordo che internet non funzionava e Sasha cercava di scaricare un VPN, voleva vedere le notizie. La sera siamo usciti, abbiamo portato i figli nell’area giochi [la figlia maggiore di Yelena è dal precedente matrimonio – nota di TUT.BY] e poi alle 20:00 circa lui ha deciso di andare verso Via Berut. Sa, non mi preoccupavo tanto. Pensavo che semplicemente non sarebbe arrivato fino a quel quartiere. La sera prima, il 9 agosto, siamo scesi insieme in strada, siamo arrivati fino alla stazione ferroviaria, ma lì era tutto bloccato dalle forze dell’ordine. Ho pensato che anche questa volta ci sarebbero stati dei blocchi stradali e lui sarebbe tornato a casa. Ho provato di fermarlo in corridoio, ma mi ha risposto: «No, io vado». Poi ho saputo che era diretto alla manifestazione intenzionalmente, si era messo d’accordo con un amico. Forse, ha deciso di non farmi preoccupare. Verso le 10 di sera abbiamo parlato per l’ultima volta… Si sentivano le esplosioni, Sasha ha detto: «Non puoi immaginare che cosa sta succedendo qui». Gli ho chiesto di andare a casa. «Si, vado».
La famiglia abita in un vecchio quartiere nei pressi della stazione metropolitana «Grushevka», invece vicino alla via Pushkinskaya Aliaksandr Taraykouski ha un appartamento dove quest’estate si facevano lavori di ristrutturazione. Ecco perchè Yelena ha lasciato andare il marito sperando che lui dovesse prendere qualche strumento dall’appartamento. Ora confessa che non si dà pace per non esserci riuscita a fermare Aliaksandr.
«Ero sicura che non fosse stato Sasha ad essere ucciso. Avevo anche pensato che la disgrazia fosse accaduta a qualcun altro»
«Il 10 agosto verso le 23:00 durante disordini di massa a Minsk in Via Prityzki la folla costruiva delle barricate per bloccare il traffico. Durante gli scontri con gli uomini di OMON, la polizia antisommossa arrivata lì per sbloccare la piazza, uno dei manifestanti ha cercato di lanciare un ordigno esplosivo non identificato contro le forze dell’ordine. L’ordigno gli è esploso in mano, l’uomo ha subito lesioni mortali» questo messaggio è apparso sul canale telegram del Ministero degli Interni verso la mezzanotte del 10 agosto.
Yelena non aveva visto questo messaggio a causa della mancanza di internet, verso le due di notte ha provato nuovamente a chiamare il marito ancora una volta; il telefono squillava ma non rispondeva nessuno. La donna non ha pensato subito al peggio, anzi rimase relativamente tranquilla, pensava che il marito aveva potuto incontrare qualcuno strada facendo, che la città fosse bloccata, e che di sicuro non fosse così semplice tornare a casa.
«Quando mi sono svegliata il mattino successivo ho capito che era successa una disgrazia. Per la prima volta Sasha non era tornato a dormire a casa. Ero confusa, non c’era internet, e poi come si fa a cercare una persona? Ho fatto un giro di telefonate a tutti i parenti, capì che dovevo andare al Distretto di polizia. Ma dove si trovava? Non lo sapevo». Yelena racconta come si unirono parenti, conoscenti e amici per cercare Aliaksandr.
Iniziò la ricerca dal Distretto di polizia Frunzensky, ma nel Distretto non c’erano elenchi dei detenuti.
«Quel giorno si apriva soltanto Onliner, guardo e vedo che lì è scritto ora per ora tutto ciò che accadeva nei pressi di Pushkinskaya. Cominciai a guardare le foto e su una vidi Sasha, ero felicissima! Dove avrei dovuto cercarlo? Andai nell’appartamento a Pushkinskaya, e passando vidi come lavorava la squadra degli inquirenti vicino alla metropolitana».
«Lei sapeva già di una persona morta durante la manifestazione?»
«Si, ma ero sicura che non poteva essere Sasha. La versione ufficiale del Ministero Degli Interni parlava dell’ordigno esplosivo, ma io sapevo perfettamente che non avrebbe preso armi in mano. Pensai persino che a casa di qualcuno bussò la disgrazia, una persona è morta».
Il 11 agosto nessuno contattò Yelena. E’ stata a Okrestina, a Zhodino. Aliaksandr non si trovava da nessuna parte. il giorno seguente cominciò di nuovo da Okrestina.
«Pensavo che la cosa peggiore che potesse accadere fosse un procedimento penale. Sasha non sarebbe andato da solo dentro il cellulare della polizia, penso che avrebbe fatto resistenza durante l’arresto. Rimasi vicino ad Okrestina e speravo: adesso esce e lo abbraccio».
Yelena apprese dal fratello quello che succedeva in paese: lui abitava fuori città e ogni tanto riusciva ad accedere a internet. Fu il primo a leggere la dichiarazione del Ministero degli Interni che la persona morta aveva 34 anni ed è stata processata in passato. Anche Taraykouski aveva 34 anni ed è stato condannato quando aveva 19 anni, nonostante questo Yelena era ancora convinta che suo marito era vivo.
«Infine ho deciso di andare al pronto soccorso, era insopportabile rimanere a casa. Ma dove cercare? La polizia rispondeva al telefono che le liste non c’erano. Il 12 agosto, nel tardo pomeriggio, l’inquirente ha chiamato il padre di Sasha, così lo abbiamo scoperto. Non ricordo cosa sia successo dopo». Yelena si sforza a trovare le parole, ma la sua voce trema, espira e ancora una volta si ferma. «Questi giorni sono nella nebbia».
«Ora sono da sola, sono perplessa e non capisco cosa devo fare dopo»
Questa è la parte più difficile ed emotiva della conversazione. Come ha vissuto Yelena prima e dopo il funerale, lo sanno solo lei e i suoi parenti.
«Prima di tutto questo pensavo che se fossi andata all’obitorio descrivendo una persona, mi avrebbero lasciato entrare. Scoprì che non era così. Non ci hanno fatto entrare all’obitorio, ci hanno detto di venire solo con l’inquirente, l’abbiamo chiamato, lui ci ha risposto che fisicamente non poteva arrivare prima. Ha detto di venire al Comitato inquirente all’ora di pranzo, io e il padre di Sasha siamo stati sentiti per tre ore, ma alla fine siamo tornati all’obitorio da soli. Il compito principale era guardare le ferite, ci hanno mostrato solo il torace, mai l’intero corpo. Il padre di Aliaksandr voleva vedere se il proiettile fosse passato o no. Ma com’è possibile? È suo figlio! Quando ci hanno restituito il corpo, proprio nella bara, il padre ha girato Sasha e ha guardato, non c’erano segni sulla sua schiena».
«È stato offensivo per Lei leggere le dichiarazioni ufficiali della polizia, dove Aliaksandr è stato descritto come una sorta di delinquente e non è nemmeno stato chiesto scusa per il rapporto iniziale sull’ordigno esplosivo?»
«Ovviamente mi sono sentita offesa. Quando siamo arrivati per il riconoscimento, è uscita una persona, forse un perito, ha chiamato l’inquirente, gli ha fatto una domanda, poi ci ha guardati per valutarci ed ha detto: «tutto a posto». Probabilmente pensavano che dal momento che una persona è stata processata in passato, significa che conduce uno stile di vita immorale. Ma non lo conoscevi personalmente! Come minimo è figlio, marito, fratello di qualcuno. Chi ha dato loro il diritto di decidere dei destini altrui? Dato che è stato processato in passato, può essere fucilato? Conoscevo Sasha da sei anni. È vero, si è trovato in una brutta situazione: proteggendo sua madre dal convivente, lo ha ucciso accidentalmente ed è finito dietro le sbarre. Ma ha scontato la pena: cinque anni in una colonia (un istituto di rieducazione) e due anni in «chimica» (una struttura penitenziaria di minore sicurezza). È uscito quasi 10 anni fa. La detenzione, a proposito, gli ha insegnato ad apprezzare ogni bel momento della vita; all’inizio era un po’ irascibile, ma ha lavorato sul suo carattere, a lui stesso non piaceva questo aspetto. Sasha viveva del suo lavoro e io l’ho aiutato. Ha aperto una partita IVA, è diventato imprenditore ed ha iniziato a cucire tende per auto, ha fatto progetti, voleva far crescere l’attività, ha persino presentato documenti per l’approvazione. Non ha fatto in tempo…»
Sul viso di Yelena appare un sorriso solo quando inizia a ricordare il passato, la vita familiare con Aliaksandr. La loro relazione non era ideale, loro, ovviamente, litigavano, ma Aliaksandr, di solito, era il primo a fare pace.
«Ogni domenica Sasha organizzava la giornata di famiglia: andavamo con monopattini elettrici, passavamo tempo sulla spiaggia a Drazdy, andavamo nelle ludoteche», Yelena mostra sul suo telefono i momenti catturati della vita familiare. In una foto Aliaksandr tiene tra le braccia una bambina di tre anni, in un’altra sta in piedi accanto a lei, felice, un’altra ancora – tiene Nastia stretta a sè.
«Nastia è proprio figlia di papà, lui sapeva come tranquillizzarla in ogni situazione. Eccola che piange e un minuto dopo ridono insieme. Dopo il funerale, non abbiamo detto niente a Nastia, non sapevamo come farlo e ci siamo rivolti a uno psicologo. Mi sembra che non abbia capito tutto fino in fondo. Ogni giorno lei aspetta che suo papà viene a prenderla all’asilo. E quando arrivo, lei si volta: «Volevo che venisse papà». Sogna che papà sia a casa. Ora non vivo solo il mio dolore, ma anche quello di mia figlia. Quando vivevamo con Sasha, prendevamo tutte le decisioni insieme, ora sono sola, persa e non capisco cosa devo fare».
«Per ora mi sto semplicemente lasciando trascinare dalla vita»
Yelena ricorda: quando è iniziata la campagna elettorale, lei e suo marito hanno iniziato a seguirla da vicino, a studiare i candidati e persino tutta la famiglia è andata al raduno di Svetlana Tikhanovskaya in piazza Bangalor.
«È arrivata una speranza di cambiamento, esiste ancora, è spaventoso continuare a vivere senza neanche questo», dice Yelena.
Spera anche che gli inquirenti comunque faranno avviare il procedimento penale sul fatto dell’omicidio di suo marito. a dire il vero, finora non ci sono stati progressi.
«Non vengo convocata da nessuna parte, ogni tanto telefona l’inquirente, fa domande di chiarimento. Hanno detto che un collega di Sasha che fa guardiano è stato convocato dal Comitato inquirente; a quanto ho capito, cercavano di ricostruire il suo profilo, hanno intervistato amici. Una volta l’inquirente ha chiesto di fornire la sequenza di sblocco per accedere al telefono di Sasha, gliel’ha data; sapevo che non c’era nulla da temere, non c’era niente lì. Si è scoperto che la sequenza non andava bene, ho pensato: «e bravo Sasha», avendo probabilmente visto cosa stava succedendo a Pushkinskaya, ha cambiato la sua password all’ultimo momento. Ogni volta che faccio una domanda all’inquirente sull’avvio di un procedimento penale, lui risponde: «Stiamo lavorando». Disse subito: molto probabilmente gli accertamenti dureranno al massimo tre mesi. L’avvocato ha già preparato una lettera al Comitato Inquirente avanzando la richiesta di aprire un procedimento penale».
«Crede che gli accertamenti si concluderanno con l’avvio di un procedimento penale?»
«Vede, secondo tutte le leggi, dovrebbe essere proprio così. Non so quali motivi ci potrebbero essere per non avviare un procedimento penale. Anche se mi rendo conto a mente fredda: è poco probabile che accada qualcosa».
«Yelena, ha chiesto all’inquirente come è successo che secondo la versione ufficiale, qualcosa è esploso nella mano di Aliaksandr, ma il video mostra chiaramente: non aveva nulla in mano».
«Ho fatto un’altra domanda, perché per due giorni nulla è stato segnalato ai parenti. Ha detto che mi stava solo interrogando e non stava conducendo questo caso».
Dopo la morte di Aliaksandr, molte persone non indifferenti hanno sostenuto la famiglia: hanno inviato lettere, offerto aiuto, trasferito soldi.
«Cerco di non spenderli, non ce la faccio, non li ho guadagnati. Non so cosa succederà dopo, è meglio avere un piccolo gruzzoletto da parte. Come pianificare la mia vita, il mio futuro? Non lo so. Per ora, mi lascio semplicemente trascinare dalla vita».
Alla domanda: «Se i lettori vorranno aiutare Yelena, dove le possono scrivere?» – la donna risponde rassegnata: «Ci sono molte altre persone che hanno bisogno di aiuto. Mi hanno già aiutato e ne sono molto grata».
«Quello che è successo è la mia tragedia personale. Quando ho voglia di piangere, chiamo la mia famiglia. Per ora faccio a meno dell’aiuto di uno psicologo, mi sembra che riesca a star bene, i bambini mi aiutano molto, il lavoro distrae. Ha deciso di continuare l’attività di Sasha, era così orgoglioso di essere partito da zero e sognava di passare l’attività di famiglia ai bambini. Ho iniziato a cucire per distrarmi. Capisco che la vita va avanti, ma per ora è difficile per me…»
Henadz Shutau, Brest. «Non ci sono elementi sufficienti per procedere con un’indagine per omicidio»
Il memoriale popolare in onore del residente di Brest Henadz Shutau è apparso il giorno della sua morte il 19 agosto ed è ancora in piedi. Fiori, lumini e una fotografia del defunto giacciono sul parapetto vicino al palazzo di 20 piani in via Moskovskaya. Fu lì che l’11 agosto fu ferito alla testa. Tatsiana Marakhouskaya, convivente di Henadz, viene spesso qui.
«Qualche volta ci sentiamo con gli amici e poi ci incontriamo lì. Qualche volta vengo da sola. Questo memoriale viene sempre tenuto in ordine: fotografie, fiori. Capisco anche le persone che vivono in questo palazzo: probabilmente non hanno tanta voglia di guardare tutto questo sempre. Però cercate di capirci – fa molto male… Veniamo, mettiamo dei fiori», dice Tatsiana, confessando che il memoriale popolare la «aiuta a sopravvivere dopo quel che è successo». «Questo mese lavoro senza giorni di riposo. È più facile per me stare al lavoro. È difficile a casa».
Tatsiana aveva una figlia ancora prima di incontrare Henadz e, secondo lei, Shutau aveva un ottimo rapporto con la ragazza. La mamma non ha nascosto alla ragazza di 14 anni cosa è successo:
«Era molto preoccupata. Lei stessa ha deciso di andare al funerale. Non volevamo portarlo al cimitero: in ogni modo è ancora una bambina. Ma lei piangeva: «Voglio salutarlo».
Tatsiana ricorda gli eventi dell’11 agosto come se fosse ieri. Per Henadz, che lavorava come camionista a lunga percorrenza, era il terzo giorno di riposo dopo un viaggio di lavoro di due settimane. La mattina Tatsiana è andata a lavorare, e lui è rimasto a casa.
«Ci siamo sentiti spesso al telefono quel giorno. È andato in giro con la sua moto per la città. Ha detto che sarebbe andato in autorimessa, la moto aveva un qualche guasto. Poi ha chiamato ed ha detto che sarebbe rimasto con i ragazzi in autorimessa. Si sarebbero messi a sistemare la moto, avrebbero bevuto un bicchierino. Sono tornata a casa dal lavoro, ho preparato la cena. Verso le 22.00 l’ho chiamato e gli ho chiesto dove stava. Hena ha detto che era a Moskovskaya, che avrebbe preso un taxi e sarebbe venuto a casa. Alle 22.36 l’ho chiamato di nuovo, non era più raggiungibile», dice Tatsiana.
Parenti e amici hanno trovato Henadz nell’ospedale regionale con «una ferita aperta e profonda da arma da fuoco al cranio». Il 13 agosto è stato trasportato in elicottero all’ospedale militare di Minsk. Morì sei giorni dopo. Il certificato indicava che la causa esterna della morte era «il danno a seguito di un colpo di un’arma da fuoco manuale con intento indeterminato».
La figlia adulta di Henadz, Anastasia Baranchuk, come Tatsiana, viene spesso al memoriale popolare dedicato a suo padre. «Fa piacere che le persone si ricordino, ancora oggi portano dei fiori lì, ma nello stesso tempo fa molto male questo ricordo».
I parenti del defunto continuano a scoprire da soli le circostanze dell’accaduto. Non ricevono informazioni dagli inquirenti, ha detto Anastasia.
Recentemente ha ricevuto una risposta alle sue domande presentate alla Procura Generale e al Comitato Inquirente, dove chiedeva l’apertura di un procedimento penale ai sensi dell’articolo per omicidio. Le lettere di Anastasia sono state incluse nel materiale del procedimento penale, che è stato aperto il 12 agosto per resistenza agli ufficiali degli organi di affari interni con l’uso della violenza o la minaccia del medesimo. La risposta specifica che «l’accertamento delle circostanze di ferimento e morte di Shutau è una delle direzioni delle indagini».
«Durante le indagini sul procedimento penale verrà fornita una valutazione giuridica delle azioni delle persone coinvolte nel causare danni fisici a Shutau. Attualmente non esistonomotivi sufficienti per avviare un procedimento penale ai sensi dell’art. 139 del codice penale (omicidio)», riporta la lettera dall’Ufficio Centrale del Comitato Inquirente.
Secondo Anastasia, gli inquirenti di Minsk stanno indagando sul caso di resistenza agli ufficiali degli organi degli affari interni.
«Mio padre è considerato un sospettato. Il procedimento contro di lui non è ancora stato chiuso a causa della sua morte», ha detto la figlia del defunto.
Anche un amico di Henadz, Aliasksandr Kardziukou, è indagato nello stesso procedimento penale, dice Anastasia. L’11 agosto quando Henadz fu ferito, si trovava accanto a lui.
«Anche lui è stato trasferito a Minsk. Quindi ora tutti si trovano a Minsk. E anche il processo, suppongo, si terrà lì», dice la ragazza.
L’ultima volta che il Comitato Inquirente si è espresso sulla morte del residente di Brest risale al 19 agosto. Secondo loro, durante le proteste dell’11 agosto a Brest, Shutau «è stato involontariamente ferito alla testa da un’arma nel corso dell’attacco alle persone che svolgevano compiti di protezione dell’ordine pubblico». Il 6 ottobre, in un incontro con gli studenti della BrSTU (Brest State Technical University), il procuratore della regione di Brest Viktar Klimau, quando gli è stato chiesto di Shutau, ha risposto che il residente di Brest «ha commesso azioni illegali».
«Ora è in corso un’indagine su questo caso. La seconda persona che era con lui in quel momento è stata fermata. Si è nascosto per molto tempo. Al momento è stato identificato, arrestato e sta testimoniando. Saprete tutto durante il processo. (…) Una cosa posso dire: purtroppo, non c’è stato niente di eroico da parte di questo defunto».
Aliaksandr Vikhor, Homel. «Questa rudezza, le percosse – tutto questo l’ ha proprio stroncato. E comunque, mio figlio era sano»
Nella stanza di Sasha ci sono ordine e silenzio. Sul tavolo c’è un ritratto, davanti c’è un lumino. È acceso da 60 giorni. Dal momento in cui si è saputo che Sasha non c’era più. Da quando i suoi parenti stanno cercando di capire cosa sia successo al loro figlio in quel fatidico agosto, quando è finito per la prima volta nell’autocarro della polizia, e tre giorni dopo è stato trovato all’obitorio. Sono passati due mesi dall’avvio delle indagini da parte del Comitato Inquirente, ma non sono ancora state precisate le cause del decesso di Aliaksandr Vikhor da Homel.
Ricordiamo che il 25enne Aliaksandr Vikhor è stato arrestato la sera del 9 agosto in Sovetskaya a Homel, mentre stava andando da sua fidanzata. I parenti hanno cercato il figlio per tre giorni: hanno telefonato e sono andati al Dipartimento di polizia, sono stati appostati fino al calar della notte al Centro di custodia cautelare ed al Centro di detenzione temporanea. E solo quando il 12 agosto sono arrivati alla polizia per presentare una denuncia sulla scomparsa di una persona, si è saputo: Sasha era morto già dall’11 agosto.
Lo stesso giorno, il Comitato Inquirente ha comunicato la propria versione di quanto accaduto. Dicono che Aliaksandr Vikhor sia stato arrestato da agenti di polizia per aver partecipato attivamente da un evento di massa non autorizzato. Con l’ordinanza del tribunale è stato condannato alla responsabilità amministrativa sotto forma di arresto per 10 giorni. È stato trasferito nel luogo in cui doveva scontare la pena, e dove la sua salute è improvvisamente peggiorata. Il ragazzo di Homel è stato portato in ospedale e lì è morto. «Durante l’esame iniziale, non sono state trovate lesioni visibili che avrebbero potuto causare la morte», ha commentato il Comitato Inquirente.
Il giorno dopo, l’inquirente ha detto alla sua famiglia che Sasha era morto per overdose di droga. I genitori erano semplicemente scioccati: il loro figlio non aveva mai nemmeno fumato! E poi quali droghe? Se è stato in custodia per diversi giorni! I parenti indignati hanno presentato un ricorso – di conseguenza, dicono ora, «l’inquirente è stato punito e il suo capo si è scusato personalmente con noi».
Dopo il funerale sembrava tutto coperto di nebbia. Dopo quaranta giorni, il dolore non è andato via, anzi sembrava esser diventato ancora più insopportabile, ammette la madre di Sasha, Sviatlana Hryhoryeuna. Ma in qualche modo dobbiamo continuare a vivere. Dopo il lavoro, di corsa al cimitero. Poi tornavamo in un appartamento vuoto ad aspettare una telefonata o una lettera dall’inquirente.
Più di una volta, la famiglia Vikhor ha fatto appello alla Procura per avviare un procedimento penale contro agenti di polizia per azioni illegali contro il proprio figlio, ma la risposta per ora è sempre una: attendete i risultati delle indagini del Comitato Inquirente. La scadenza dei termini, dicono i genitori, è già stata prorogata due volte.
Finalmente, all’inizio di settembre, i genitori sono stati convocati dal Comitato Inquirente.
«La conversazione durò tre ore e per tutto questo tempo mi sono state poste delle strane domande, a mio parere poco rilevanti. Quando Sasha è andato all’asilo? Come andava a scuola? Che cosa faceva? Non avrei prestato molta attenzione a questo se non avessi scoperto che i conoscenti e gli amici di Sasha sono stati contattati dall’inquirente che ha fatto loro domande di diverso tipo, ad esempio se Sasha assumesse medicinali o pasticche», dice Sviatlana.
«A proposito, i vicini mi hanno detto che qui, a Kastyukouka, erano venuti alcuni ragazzi», dice il padre di Sasha, Aliaksandr Mihailavich. «A quasi tutti i vicini che abitano in questa strada è stato chiesto che tipo di famiglia eravamo, se avessimo problemi con la legge, hanno chiesto loro di descrivere Sasha, beh, avete capito. Stavano «scavando» per cercare qualcosa, ma non abbiamo nulla da temere: siamo una famiglia per bene a abbiamo dei figli molto bravi».
I Vikhor hanno visto il corpo del figlio all’obitorio. Credono che Sasha sia stato picchiato, mentre gli esperti hanno dato una spiegazione diversa.
«Per molto tempo hanno cercato di persuaderci a non guardare. Poi hanno aperto un po’ il sacco. Ed io l’ho aperto completamente. Di certo non se lo aspettavano. Nemmeno che iniziassi ad esaminare il corpo. Sollevò la sua testolina: dietro la nuca c’era una grossa ammaccatura, una specie di incavo. E loro mi dicono che è stata fatta la trapanazione. E io rispondo: «Guardate, le costole si muovono». Al che mi è stato detto che potevano essere rotte quando veniva rianimato. Gli ematomi – sotto le ginocchia, sulla regione lombare, sulle spalle, sui gomiti e sui polsi – sono stati chiamati macchie cadaveriche».
I parenti di Sasha iniziarono a cercare testimoni – persone fermate come lui e che erano con Sasha negli ultimi giorni e le ultime ore della sua vita. Sono stati trovati: qualcuno era insieme a Vikhor nell’autocarro della polizia, qualcuno giaceva accanto a lui per diverse ore, con la faccia spinta sul pavimento nel Dipartimento di polizia, qualcuno era con lui il giorno dopo in tribunale. Tutti loro hanno già testimoniato presso il Comitato Inquirente.
Ed ecco cosa emerge dalle testimonianze. In tarda serata Sasha ed altri detenuti sono stati portati al Dipartimento di polizia del distretto Zheleznodorozhny. Lì, in palestra, tutta la notte si svolgevano la registrazione ed altre formalità. Al mattino lo portarono al Centro di detenzione temporanea – e già lì Sasha si sentiva male. Rimaneva sdraiato tutto il tempo. Alcuni dei detenuti gli hanno persino ceduto il posto in basso, sul letto a castello. I testimoni hanno anche detto di aver ripetutamente avvisato gli operai del Centro di detenzione temporanea che Sasha aveva bisogno d’aiuto, per tutta risposta, dall’altra parte della porta gli hanno consigliato di lavare il ragazzo con acqua fredda. Nel pomeriggio del 10 agosto, Sasha è stato portato in tribunale al processo, dopodiché le sue condizioni sono peggiorate ancora di più. Testimoni hanno ricordato che iniziò a comportarsi in modo strano, come se si fosse perso nel tempo e nello spazio.
«Dicono che fosse sotto shock, continuava a ripetere: «Ragazzi, non sono colpevole di nulla». Conosco mio figlio: credeva di non essere colpevole, e non riusciva a capire in alcun modo perché fosse stato processato. Questa rudezza, le percosse – tutto questo l’ha proprio stroncato. E comunque, mio figlio era sano. Due mesi prima, ha superato una visita medica d’idoneità per il servizio di leva presso l’ufficio di registrazione edarruolamento militare, non era in osservazione per nessuna malattia presso nessun specialista», grida Sviatlana.
Ad agosto, al funerale, uno degli uomini, che era stato con Sasha per qualche tempo dopo il suo arresto, ha parlato del suo strano comportamento.
«Dopo il processo, volevano portarci al Centro di detenzione temporanea, ma ci hanno riportato in palestra del Dipartimento di polizia. Lì Sasha iniziò a perdersi completamente. Ha chiesto soldi per pagare il viaggio per tornare a casa, si è alzato, ha cercato di lasciare la sala. Uno studente del Turkmenistan che faceva il terzo anno alla facoltà di medicina e stava seduto accanto, ha detto che Sasha doveva andare in ospedale, aveva bisogno d’aiuto urgente».
Secondo l’uomo, ha detto alla polizia che Sasha aveva bisogno d’aiuto, ma nessuno ha chiamato un’ambulanza.
«La sera siamo stati caricati in un automobile, Sasha è stato messo all’interno di un «bicchiere» (spazio separato da metterci dentro solo una persona) – e lì stava semplicemente impazzendo. Gridava, chiamava genitori. A quel punto, a quanto pare, pure i poliziotti si sono resi conto che qualcosa non andava in lui. L’hanno «medicato» con una bomboletta di gas. Poi ci hanno portati fuori, ma a lui l’hanno lasciato».
Tutti i testimoni perdono il contatto con Sasha intorno alle 10 di sera. Alle due del mattino il ragazzo è stato portato in ospedale. Morì verso le quattro del mattino. Dove si trovava prima di arrivare dai dottori è la domanda principale a cui i genitori di Sasha stanno cercando una risposta.