«Tra questi tormenti sta nascendo una nuova Bielorussia»

La prigione in via Okrestina è diventata una filiale dell’inferno: reportage dal campo

19 agosto 2020 | Maria Melekhina, KYKY.ORG
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La giornalista Maria Melekhina e il fotografo Egor Voinov hanno visitato un campo improvvisato sotto le mura della prigione Okrestina. E’ qui che hanno portato la maggior parte delle persone arrestate durante le proteste pacifiche di Minsk. Non si può dire esattamente quante persone ci sono lì ora. Sia il Ministero degli Interni  che le guardie del carcere tacciono. La testimonianze di coloro che sono stati rilasciati sono varie. Qualcuno dice che la maggior parte delle persone sono state rilasciate, altri dicono il contrario. Questo è comprensibile, perché sotto il tetto del carcere di Okrestina ci sono due istituzioni diverse e se non ci sono persone da una parte, non è detto che le celle non siano piene nella seconda istituzione.

Il divieto di fotografare e filmare anche nelle vicinanze è ancora in vigore, «per non provocare»  le guardie carcerarie a torture e percosse contro chi non è ancora fuori da queste mura.

All’ingresso del campo incontriamo un sacerdote ortodosso, padre Pavel. Lui ci dice che è qui che sta nascendo una nuova Bielorussia.

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Il sacerdote racconta:

Nel nostro paese sta avvenendo una totale iniquità, non posso dire altro. Non si sa cosa succeda dietro queste mura. Qui manteniamo il silenzio affinché i ragazzi là dentro non siano umiliati e picchiati ancora di più. Naturalmente, ci sono dei provocatori. Per esempio, ieri è venuta una donna e ha iniziato a gridare: «Perché siete qui? Io devo lavorare e voi invece siete qui a scioperare. Quanto vi hanno pagato?» Ma la gente non reagisce più a queste cose. Ultimamente non si sentono più le urla lì dentro, ma nei primi giorni c’è stato un lamento spaventoso. Ho offerto un passaggio ad alcune persone che sono state rilasciate, mi hanno parlato dell’inferno. Queste persone sono state picchiate per la nostra libertà e per il nostro paese. È in questa agonia che sta nascendo una nuova Bielorussia. Tutti coloro che hanno infranto la legge ne risponderanno. Purtroppo non posso entrare dentro per cercare di  toccare il cuore degli agenti di OMON (polizia antisommossa – N.d.T.).

Entriamo nel campo. È diviso in varie zone: ci sono avvocati, medici, psicologi. Una delle zone è punto di raccolta degli aiuti alla gente. È pieno di bottiglie d’acqua, vestiti, plaid. Qui si può mangiare cibo caldo o bere del tè. Si sente a pelle la paura con cui è permeato tutto questo piccolo spazio vicino al carcere. Le persone chiudono il viso, non vogliono parlare nemmeno nell’anonimato, non vogliono essere ripresi anche da dietro per paura di poter essere riconosciute e inseguite.

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«Sono proibite foto e video riprese».
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Il volontario Serghei è uno dei pochi che ha accettato di parlare con noi. È lì in servizio ormai da quattro giorni, dorme su una sedia. Dice che per capire perché la gente si rifiuta di parlare bisogna stare qui per almeno qualche giorno. Serghei non è più tanto scioccato, sapeva dove sarebbe capitato. «Le mie parole non bastano a descrivere tutto il dolore. Non sarei rimasto qui così a lungo ma ho capito che posso fare molto di più per le persone che si trovano qui, anziché continuare a lavorare».

Nessuno dei volontari del campo di Okrestina ha una organizzazione ufficiale, né è pagato. Non si ha nemmeno il permesso ufficiale per organizzare il campo. Potrebbero essere cacciati via in qualsiasi momento. I camion blindati della polizia antisommossa passano avanti e indietro 24 su 24. Coloro che aiutano le persone oggi, capiscono benissimo che domani potrebbero avere lo stesso destino dei prigionieri. Serghei ha detto:

Oggi nessuno sa quante persone ci sono dietro queste mura, 20 o mille. Qualcuno esce e dice che non c’è più nessuno, altri dicono che è ancora pieno di gente. Ci sono due istituzioni diverse sotto il tetto della prigione di Okrestina; una può essere vuota e l’altra piena, nessuno lo sa. Inoltre ci sono molte persone disperse. I loro parenti non riescono a trovarli da nessuna parte. Non sono presenti in nessuna lista, ma anche quando sono presenti nelle liste, non è detto che si trovino davvero qui. Avevo un amico presente nella lista di Okrestina. Invece si trovava a Slutsk. Dopo essere stato rilasciato ha dovuto venire qui per prendere le sue cose. Non ci sono le informazioni sui detenuti di Okrestina per confrontare in qualche modo i dati ufficiali con le nostre liste.

Elenchi dei detenuti sviluppati dai volontari.
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«Aiutateci a trovarlo!»
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Mostrando il prato pieno di bottiglie d’acqua, il volontario menziona che questo è il 10% di quello che la gente ha portato in tre giorni. «Qui è stata portata anche l’acqua rimanente dopo la Marcia della Solidarietà. Siamo diventati inconsapevolmente una specie di centro di distribuzione (ride). Abbiamo appena inviato quasi tre tonnellate d’acqua agli ospizi e ai rifugi per i senzatetto. Non solo a Minsk ma anche a Zhodino, Baranovichi, Slutsk. Mandiamo anche degli abiti e del cibo in eccesso. Tutto avviene molto rapidamente. Il sistema funziona bene. Per esempio alle 12 mandiamo del pane e alle 13 ci mandano le foto che dimostrano la distribuzione del pane in sala da pranzo. Ora va meglio, le strade non sono bloccate. Ma abbiamo ancora bisogno delle auto. Nei giorni precedenti una signora ci aveva offerto il suo magazzino, ma non siamo riusciti ad arrivarci a causa delle strade bloccate», – racconta Serghei.

Alla domanda se le persone del quartiere aiutano i volontari Serghei scuote la testa: «No, anzi, ci rimproverano perché noi non li lasciamo vivere in pace». Poi mi guarda fisso e mi chiede: «Ma siete veramente dei giornalisti? Qui girano molti agenti di polizia in borghese. Se foste pieni di lividi o con una gamba fasciata avrei più fiducia». Sto cercando di convincerlo che siamo giornalisti del KYKY ma la conversazione finisce qui.

«Gli arrestati sono stati contrassegnati con la vernice, per distinguere quelli che andavano picchiati più duramente»

Ci passa davanti, zoppicando, un ragazzo con una gamba ingessata. Si sta avviando al cancello del carcere.

Meglio se andiate a parlare con quelli che sono già stati rilasciati e ci sono tornati a ritirare le loro cose. Li potrete riconoscere subito, sono tutti fasciati, con ingessature.

Ci avviamo verso la fila di persone che si sono radunate in attesa del loro turno per riprendere i loro effetti personali. Camminando vediamo gli stand improvvisati con liste di nomi. Lo sguardo cade sulle tracce di sangue sull’erba. Chiedo ad uno dei volontari se si trovano tutti gli effetti personali. Mi risponde che la situazione è notevolmente migliorata. I volontari stanno cercando di mettere in ordine gli oggetti e di identificare i loro proprietari grazie ai documenti ritrovati. Ma prima che concedessero il permesso ai volontari di entrare c’era un caos assoluto: stanze piene di oggetti fino al soffitto. Molti dei rilasciati capitati lì si rifiutavano di cercare, era inutile.

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«Attenzione: Lo spelling dei cognomi può essere modificato»; «Elenco dei beni rimasti presso il centro di detenzione»; «Assistenza medica»; «Toilette».
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Ci avviciniamo a un gruppetto di ragazzi sul prato e gli chiediamo che cosa ci stanno facendo. Di nuovo dobbiamo dimostrare di non essere poliziotti camuffati. Alla fine uno di loro, Nikolai, ci racconta la sua storia. Era stato arrestato l’11 agosto 2020, nonostante non avesse partecipato alle proteste pacifiche. È capitato in Okrestina con la sua moglie incinta. Riferiamo la sua storia senza aver cambiato niente, così come ci è stata raccontata.

Sono stato portato al centro di detenzione di Okrestina l’11 agosto. Vedete quel cortile?  E’ lì che siamo stati picchiati. Sì chiamava «trattamento a caldo». Ho passato qui ad Okrestina tre giorni. Poi sono stato trasferito al centro di detenzione temporanea di Slutsk. Non avevo partecipato alle proteste, stavo solo tornando a casa. Mi hanno preso tra le stazioni della metropolitana Pushkinskaja e Sportivnaja. Beh, come mi hanno preso? Mi sono avvicinato ad un uomo e gli ho chiesto come potevo evitare tutto questo casino e tornare a casa. Mi ha risposto che me l’avrebbe mostrato. Abbiamo girato l’angolo e lì mi aspettava un camion blindato della polizia antisommossa. A quanto pare, sono stato trattenuto a causa del braccialetto bianco. Per loro è come uno straccio rosso. Avevo anche uno stemma dell’opposizione bielorussa sullo sfondo del mio telefono. Così mi hanno preso per un rivoluzionario. Erano circa le 22.00. Quando c’è stato il processo, emettendo la sentenza, hanno dichiarato che alle due del mattino ero da qualche parte sulle barricate nel quartiere di Kamennaia Gorka e gridavo vari slogan, anche se questo non è vero. 

Non sono stato picchiato molto ma ho visto picchiare altre persone. La gente svenuta veniva gettata nelle autovetture e portata da qualche parte. C’era un uomo che aveva la clavicola frantumata, aveva l’arresto cardiaco. Il 13 agosto ha perso i sensi. Quindi è stata chiamata un’ambulanza. I medici arrivati in soccorso chiedevano ai poliziotti: «Ma cosa state facendo con le persone?» Un uomo dell’OMON (polizia antisommossa – N.d.T.) ha risposto: «Se proprio lo volete sapere, possiamo prendere anche voi, così lo saprete».

«Elenco dei detenuti alle ore 15:30 del 17.08.2020».
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Le persone arrestate venivano contrassegnate con la vernice per distinguere chi doveva essere picchiato brutalmente e chi invece di meno. I giornalisti erano segnati in modo particolare. Avevano «un trattamento a caldo» diverso. C’era tra noi un blogger. Ne ha viste di tutti i colori. Non sono riuscito a vedere la sua faccia, ci era vietato di alzare la testa. Siamo stati tenuti in ginocchio per un giorno e mezzo. Se ti muovevi ti picchiavano di nuovo. Anche i ragazzi che avevano camicie bianche con sopra croce rossa (aiutavano i feriti in strada) se la sono vista brutta. Quelli che avevano dei farmaci nelle loro borse venivano picchiati con dei manganelli sulla schiena. «Ti piace la croce? Ora ti stampiamo noi una croce», – gridavano i poliziotti. Uno di loro, che parlava con la erre moscia, era particolarmente feroce. Molte persone lo ricordavano e ne parlavano anche nel centro di detenzione temporanea di Slutsk. Se dovessi risentire la sua voce la riconoscerei subito. Beh… Tutti ricordano bene anche una certa Karina del dipartimento di polizia del distretto Frunzenskij.

Alla fine mi hanno assegnato 15 giorni di detenzione, anche se non ho firmato nessun protocollo. In tribunale mi è stato chiesto se riconoscessi di essere colpevole. Certo che no! Mi sono rifiutato. Alla fine si sono trovati dei testimoni: un capitano di polizia e un ufficiale dell’OMON. Quando ho provato a dire che quelli erano parte interessata, mi hanno risposto: «Ma chi ti credi di essere? Sei il più intelligente?» La sentenza è stata emessa. Poi ci hanno messi a faccia in giù per terra e siamo rimasti così sdraiati fino alla sera. Poi io e altre 120 persone siamo stati caricati nei camion e portati a Slutsk. Dicono che molte persone sono state portate nei centri di detenzioni di altre città per non aumentare le statistiche di Minsk. 

Molte persone si sono trovate in cella per caso. Per esempio, c’era un uomo che stava tornando dalla sua casa di campagna. Quando è sceso dall’autobus l’hanno arrestato. C’erano due uomini di origine caucasica, padre e figlio. Avevano semplicemente parcheggiato la loro auto vicino al portone di casa. Anche loro sono stati portati via. C’era un macchinista che aveva terminato il proprio turno. Sceso dal treno, si è recato verso la metropolitana. È stato arrestato appunto vicino alla metro. Erano tutti presi a caso, per lo più uomini, anche se si parla di una donna incinta trascinata in un camion blindato a Slutsk. Ma io personalmente non l’ho vista.

«Mi hanno sparato, ma non mi hanno colpito»

Il ragazzo che era seduto accanto e taceva, improvvisamente ha detto: «Stavo semplicemente comprando le sigarette al supermercato. Erano le 19:00 circa. Mi hanno arrestato e mi hanno tenuto per 72 ore». La donna, che prima stava in piedi un po’ in lontananza, con uno sguardo distaccato, ha iniziato a parlare: «Mio marito è uscito per prendere del pane, l’hanno preso al centro commerciale». Varie persone hanno cominciato a radunarsi intorno a noi a poco a poco, compreso un prete cattolico.

«Cibo per le persone rilasciate»; «Prendete dell’acqua».
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Don Alexander si è lamentato che non lascino entrare nel carcere nessun sacerdote, anche se nei paesi civili è un diritto inviolabilе: 

Giovedì non ci è stato permesso di entrare. Abbiamo provato a far passare degli assorbenti attraverso i medici dell’ambulanza. Li infilavamo nelle loro tasche. Siamo arrivati a questo punto! Sono un prete, ho fatto voto di castità e ho dovuto consegnare degli assorbenti. Era la cosa più importante in quel momento. Non c’è niente di male, ma è così assurdo! Non possiamo nemmeno fare una preghiera perché potrebbe essere vista come una sorta di raduno o una provocazione. Tutto quello che possiamo fare è parlare con le persone in privato, l’arcivescovo Kondrusevich sa tutto e si appellerà alle autorità per ottenere il diritto di entrare.

Durante la nostra conversazione, tre auto della «Croce Rossa» sono arrivate al cancello di Okrestina e sono entrate dentro. Hanno portato aiuti umanitari.

«Li lasciano entrare, hanno degli accordi. Venerdì volevamo dare ai volontari gli aiuti per i detenuti ma hanno detto che se qualcuno lo avesse scoperto non sarebbero potuti più entrare», – sospira il prete.

Tra gli altri incontriamo anche un noto artista, scandaloso Alexei Kuzmich. Anche lui è venuto qui a riprendere le sue cose. Ricordate le sue performance? Quella durante l’inaugurazione di una mostra artistica, quando per protesta contro la censura si è presentato nudo, con le mani alzate e con una targa con la scritta «Ministero della cultura» con cui si copriva i genitali. Poi quella non meno provocatoria del 9 agosto 2020, quando ha dimostrato la sua posizione civica dentro uno dei seggi elettorali. E anche quella della stessa sera in cui si è presentato al viale centrale, davanti ai poliziotti dell’OMON rappresentando il Cristo in croce. Lo stesso giorno gli uomini in uniforme sono arrivati a casa sua. Hanno cercato di sfondare la porta d’ingresso con un’ascia. Alexei ha immediatamente chiamato il suo avvocato Sergei Zikratski e i giornalisti. Ecco cosa è successo dopo (la sua storia senza editing editoriale).

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Avevano cercato di prendermi ancora al seggio elettorale ma sono riuscito a scappare. La sera ho continuato la mia performance e sono uscito sul viale. Il giornalista del Novaya Gazeta ha raccontato di aver visto qualcuno spararmi ma non sono stato colpito. Sono tornato a casa la mattina e cinque minuti dopo hanno cominciato a sfondare la mia porta. Hanno attaccato una ciunga sul mio spioncino. Hanno detto di essere miei amici. Ad un certo punto la ciunga si è staccata e ho visto che stavano sfondando la mia porta con un’ascia. È arrivato il mio avvocato e ha esaminato i loro documenti. Erano ufficiali del Dipartimento centrale degli Affari Interni, erano in tre. Il capo era un maggiore, non ricordo il suo nome.

Mi hanno portato via per «fare una conversazione». Durante il tragitto hanno chiesto delle mie performance. Hanno detto di conoscere il mio lavoro. Questi ragazzi erano stati abbastanza amichevoli fino a un certo punto. Nel dipartimento di polizia ho dato le mie deposizioni e mi hanno detto che mi mettono dentro. Il mio avvocato è rimasto con me fino alla stesura del verbale, anche se hanno cercato di mandarlo via. Lo hanno preso per le spalle e hanno cercato di portarlo fuori. Lo hanno afferrato sulle spalle e hanno cercato di farlo uscire. Poi mi hanno gettato nel cosiddetto «bicchiere» (cella particolare per una persona sola – N.d.T.) e lì mi sono reso conto di aver perso tutti i miei diritti. Non ero più un uomo ma un oggetto con cui potevano fare tutto quello che volevano.

La cella di 9 metri quadrati conteneva 30 persone, stavamo in piedi come le sardine in un barattolo. Alcuni di noi venivano portati agli interrogatori e picchiati. Altri tornavano in cella nudi. Dicono che alcuni poliziotti del quarto piano erano proprio accaniti, facevano gli arrestati deporre contro se stessi e firmare i verbali. Mi hanno tenuto lì per due giorni  anche se molti sono stati trasferiti in altre città. Il secondo giorno è arrivata la polizia antisommossa. Ci hanno portati in cortile e ci hanno pestati. Poi mi hanno gettato nel furgone e mi hanno portato nella prigione di Okrestina. Lì sono stato picchiato nuovamente e messo in una cella particolare, da passeggio: una specie di gabbia con le sbarre al posto del soffitto e intorno le mura di cemento. Eravamo in un centinaio di persone. Circa due ore dopo sono arrivati i medici e mi hanno portato via. Veramente sono stato fortunato. Ero in piedi proprio all’ingresso e sono stato notato da un giovane medico. Mi ha chiesto se stavo bene. Mi faceva molto male la schiena. Non riuscivo a stare in piedi e  sono stato portato via con ambulanza, anche se il personale del centro di detenzione temporanea di Okrestina ha espresso una forte resistenza. Sapevano chi ero, mi odiavano terribilmente. Avevo la sensazione di non poter mai uscire da quella prigione o di uscirne da disabile. Ringrazio i medici che mi hanno tirato fuori! Più tardi questo medico mi aveva detto di avermi salvato, altrimenti mi avrebbero picchiato crudelmente.

«Assistenza medica»; «Preghiera»; «Toilette»; «Prelievo dei beni propri dal centro di detenzione»; «Psicologi».
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Alexei è riuscito a ritrovare tutti i suoi effetti personali. Il 19 agosto 2020 avviato il processo contro di lui. Ha contusioni, ematomi. Ha ancora mal di schiena. Tuttavia l’artista ha rinunciato alla visita medica.

Cercando di capire le storie di persone, illegalità e atrocità che si verificano ad Okrestina, ci muoviamo verso le tende di avvocati e medici. Una signora viene verso di  noi. Molto probabilmente si è sparsa la voce che nel campo c’erano dei giornalisti camuffati. Oppure ha semplicemente visto che da giornalista sono rimasta male. Olga si è rivelata una psicologa. Aiuta le persone che lasciano la prigione di Okrestina e i loro parenti. Ecco cosa ci ha raccontato.

Quasi tutti parlano dell’umiliazione e delle percosse subite nella prigione di Okrestina. Molte persone hanno il disturbo da stress post-traumatico. Questo disturbo ha diversi sintomi: ansia, eccitabilità. Altrimenti molti si chiudono dentro, hanno paura di vedere nuove persone, diventano sospettosi. Quasi tutti quelli che sono stati dietro queste mura sono venuti oggi a ritirare i loro effetti personali con i loro parenti. Molti hanno paura di uscire da soli. Alcuni non sono venuti affatto per non immergersi in queste emozioni e ricordi. Il disturbo da stress post- traumatico è un trauma con conseguenze di lunga durata. È un bene che la gente cominci a parlare e a vivere le emozioni, ma ci sono molti altri casi. Per esempio, oggi è arrivata una signora anziana il cui figlio era stato qui. Lui stesso si è rifiutato di venire, di notte ha gli incubi. Quelli che sono stati rilasciati quasi tutti sono picchiati, hanno arti e colonna vertebrale fratturati. Raccontano che li picchiavano in modo che le mazze si rompevano. Io personalmente ho sentito la storia di un ragazzo che ha raccontato che l’occhio del suo compagno di cella era stato distrutto. Si era letteralmente liquefatto, non avevano calcolato bene il colpo. Molti di loro erano stati picchiati ancora nel dipartimento di polizia. Qui ad Okrestina le persone venivano lasciate per tutta la notte in ginocchia, scalze, con le teste contro il muro. Su alcuni di loro veniva versata acqua fredda.

«Anche gli esecutori delle torture del centro di detenzione sono un prodotto del sistema»

Ci avviciniamo alla tenda degli avvocati che accettano di parlare solo in forma anonima e chiedono più volte se la conversazione sarà pubblicata in rete. Anche loro capiscono che il campo è spontaneo, non ufficiale, e possono essere cacciati in qualsiasi momento. «Qui di tanto in tanto tentano di mandarci via, tutta quest’attività è molto vulnerabile e si mantiene attirando l’attenzione dell’opinione pubblica. Non c’è altra opzione per poter organizzare questi aiuti. Oggi siamo stati spostati. Prima il campo era  più vicino alle mura di Okrestina. Domani possono farci spostare di nuovo. Questo è l’atteggiamento nei nostri confronti», – dice uno degli specialisti.

«Avvocati»; «Sono proibite foto e video riprese».
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Gli avvocati presenti qui cambiano continuamente ma è sempre possibile ottenere un aiuto legale. Ad esempio, è possibile fare per iscritto una domanda per richiedere di restituire effetti personali o presentare un reclamo se essi non si dovessero trovare. Si può compilare un modulo se è sparito l’autoveicolo, appellarsi contro le sentenze del tribunale già entrate in vigore. Victoria (nome di fantasia – nota del KYKY) ha detto:

Se una persona è in possesso di un’ordinanza del tribunale per la responsabilità amministrativa e non è stato fatto l’appello all’istanza superiore, significa che tale persona poteva non essere rilasciata. Pertanto, tutti coloro che sono stati rilasciati, in linea di massima con la condizionale, possono ancora essere portati a scontare la loro pena entro un anno. Quindi è necessario ricorrere all’appello contro tali sentenze! «Rilasciato» non significa «dichiarato non colpevole», è solo ammissione del fatto che nei carceri non ci sono più posti per i detenuti.

Per questo lo diciamo a tutti, bisogna ricorrere all’appello. La maggior parte dei detenuti non ha visto o letto nessuna sentenza, non gli è stato spiegato nulla. Molti non ricordano assolutamente nulla, per non parlare dei nomi dei giudici che hanno preso le decisioni. Qui spieghiamo il procedimento, l’ora, dove andare. Fissiamo i riferimenti delle persone se hanno bisogno di ulteriore aiuto da parte di avvocati. Quasi tutti gli avvocati sono pronti a dare consigli gratuiti alle vittime delle proteste pacifiche.

Quando le abbiamo chiesto se coloro che sono venuti qui per ritirare i propri effetti personali sono di nuovo stati “rinchiusi dentro”, ha confermato che ci sono stati casi del genere, ma solo se c’è stato qualche conflitto con le forze dell’ordine. Ora non succede più, nessuno viene portato dentro di nuovo. 

Andiamo dai medici e incontriamo alcuni ragazzi con i cartelli «autista». Dicono di essere venuti ad accompagnare coloro che saranno rilasciati oggi. Per il momento, però, nessuno è stato ancora rilasciato.

«Autista».
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Ci accorgiamo di una postazione dove si possono caricare i telefoni. Qualcuno ci offre dei panini e dell’acqua. Finalmente arriviamo alla tenda dei medici. Appena vedono la fotocamera diventano piuttosto nervosi. Chiedono di mostrare il tesserino per assicurarsi che non siamo di «BelTA» (agenzia dei media statali – n. d. T.). Soltanto una persona accetta di parlare con noi, ma a condizione di completo anonimato. 

«Non è che non si può fotografare, non è un divieto ufficiale. E’ piuttosto una richiesta. La domenica, quando qui sono apparse delle persone con telecamere, non potete immaginare quante urla strazianti si siano cominciate a sentire da lì (indica verso le mura della prigione – nota del KYKY). Prima di tutto dobbiamo pensare alla condizione delle persone che sono lì in questo momento e in qualche misura anche alla nostra sicurezza. Naturalmente, registriamo tutte le lesioni, sperando che questo sia utile in futuro. Per il momento non porta a niente. Ma prima o poi le informazioni inizieranno ad uscire fuori e diventeranno disponibili a tutti», – ha detto il medico. Una signora anziana viene verso la tenda medica. Probabilmente è parente di qualcuno, chiede di misurare la pressione… 

Salutiamo i medici, ne abbracciamo alcuni. Ci incamminiamo verso la nostra macchina in silenzio. Ognuno di noi pensa qualcosa per conto suo e solo in macchina, il fotografo Egor dice: «Vedi, è così che funziona l’intero sistema. Non puoi cambiarlo, devi solo distruggerlo altrimenti distruggerà te stesso. Anche gli esecutori delle torture di Okrestina sono stati deformati dal sistema. Queste persone sono profondamente malate nella loro anima». Egor ha ragione, ma nonostante questo non c’è la faccio a capire come è diventato possibile tutto questo nel 21° secolo nel centro dell’Europa?

Le stesse atrocità sono state applicate anche a coloro che capitavano qui prima? Forse non c’è mai stata una divulgazione e una risonanza pubblica così ampia?

Perché non se n’è parlato prima? A che cosa si pensava? Che cosa si riteneva più importante? Quello che sta succedendo nella prigione di Okrestina è un sistema, non un’iniziativa di singole persone. Tutto ciò è stato organizzato e coordinato anche con aiuto dei giudici. 

La legge non funziona più in Bielorussia. Quello che sta succedendo ora è un crimine contro l’umanità e l’eco del GULAG. Ma ci sono dei vantaggi: la disgrazia comune ha unito la nazione e ha risvegliato ancora di più la società civile. Non ci sono le parole per descrivere la crescita dell’aiuto reciproco e lo spirito di solidarietà che si è creato in questi giorni. Bielorussi, siamo forti! Guardate cosa siamo riusciti a fare! Anche le «mura» di Okrestina prima o poi crolleranno.