La giudice era su TikTok, il capo del centro di detenzione offendeva

La campionessa di Muay Thai e paramedico Anastasiya Kalashnikava ha parlato dell’arresto e del processo per i fiori

27 gennaio 2021 | Nadzeya Filipchyk, BY.Tribuna.com 
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Nata a Minsk, Anastasiya Kalashnikava da diversi anni combina il lavoro di paramedico in una squadra di pronto soccorso con gli allenamenti e la partecipazione ai combattimenti. Kalashnikava ha vinto i campionati nazionali di kickboxing e Muay Thai e ha ricevuto premi nei tornei internazionali. L’atleta ha un tatuaggio vivido sulla gamba – un ritratto di Aleksandr Lukashenko, ma Kalashnikava non può essere sospettata di simpatia per l’attuale governo: pochi mesi fa ha firmato la lettera degli atleti per delle elezioni eque e contro la violenza. Sa esattamente di quale violenza parla la lettera, perché subito dopo le elezioni Kalashnikava si è recata più volte nel centro di detenzione di Okrestina come medico.

Di recente, i media hanno scritto di nuovo di Kalashnikava. Anche se il motivo non era dei più allegri: il 17 gennaio la ragazza è stata arrestata e il giorno successivo è stata condannata a una multa di 30 unità base. Il motivo della multa sono stati due garofani che l’atleta ha posato sulla neve vicino al luogo della morte di Aliaksandr Taraikouski. Un paio di giorni dopo il suo rilascio, ci siamo incontrati con Kalashnikava per discutere dell’arresto per due fiori, delle storie di Okrestina e degli atleti che parlano di violenza solo nelle cucine.

Si è appena concluso Il tuo primo turno di lavoro dopo il l’arresto. Come ti hanno accolto i tuoi colleghi?

Bene, non so perché ma hanno raccolto dei soldi per me, ero scioccata. Hanno chiesto come stavo, ma ne parlavano come se lì mi stessero uccidendo. Tutti erano preoccupati, pensavano che tutto sarebbe andato peggio di quanto non sia andato in realtà.

So che in precedenza hai portato molte volte i fiori al memoriale di Aliaksandr Taraikouski, che è stato ucciso il 10 agosto.

Sì.

Perché è importante per te?

In un certo senso è un’espressione di dolore, ma questo non si fa per i morti. Abbiamo perso un uomo e questo è sbagliato, ancor più sbagliato è che sia stato ucciso. E ancora peggio, nessuno è stato punito per l’omicidio, nessuno si è nemmeno preso la briga di indagare in qualche modo sul caso. Alla famiglia hanno semplicemente sputato in faccia. Ricordo che hanno anche detto di Aliaksandr che era ubriaco o aveva una granata in mano. Non ho organizzato dei picchetti al memoriale, portavo solo dei fiori quando ce n’era l’occasione.

Il giorno dell’arresto, non sapevo neanche che fosse domenica. A causa del lavoro, confondo i giorni della settimana, so solo che dopo un turno di 24 ore ho tre o quattro giorni liberi. Nel dipartimento di polizia, ho dovuto guardare la data sull’orologio, ho cliccato sull’orologio che si erano dimenticati di togliermi e lì ho visualizzato il giorno della settimana. Ho visto che era domenica e il puzzle si è composto.

Anche il 17 gennaio hai portato dei fiori al memoriale. Cosa è successo dopo?

Non avevo intenzione di portare i fiori lì, stavo solo tornando a casa in metropolitana – abito nelle vicinanze. Sono uscita dalla metropolitana e ho visto che c’erano pochi fiori sul memoriale e c’erano alcuni ritagli di nastri. Come si è scoperto, il fatto era che ogni volta che le forze dell’ordine prendevano una persona lì, portavano via o calpestavano anche i fiori.

Ho pensato che avrei dovuto comprare un paio di garofani. Sono scesa nel sottopassaggio per comprare i fiori, intanto stavo ancora parlando al telefono con mia madre, avevo le auricolari. Sono uscita dal sottopassaggio, ho deposto i fiori, alzato la testa. Ho visto una ragazza che mi guardava, poi ha rivolto lo sguardo al parcheggio. Ho visto che dal parcheggio stava uscendo un pulmino.

Come hai reagito?

Non mi sono messa a scappare. Penso di essere rimasta delusa dalla sensazione di non aver fatto niente – dopotutto, è stupido arrestarmi perché ho messo un fiore sulla neve! Tuttavia, ho avvertito mia madre che avevo visto un pulmino e mi sono diretta verso la fermata dell’autobus. Pochi minuti dopo mi hanno arrestato lì.

Quel pulmino si è avvicinato e gli agenti delle forze dell’ordine sono saltati fuori. Uno di loro mi ha afferrato per una spalla e ha detto: «Andiamo, dobbiamo parlare». Ho chiesto di cosa avremmo parlato, ma lui ha ripetuto la stessa cosa con maggiore insistenza. Mi sono offerta di parlare all’aperto. Stavo ancora al telefono con mia madre e in quel momento lei ha cominciato a piangere.

Ho chiesto più volte all’agente delle forze dell’ordine: perché? Non sono una sciocca e ho capito che con si sarebbero limitati a una conversazione, che mi avrebbero portato via e mi avrebbero accusata di qualcosa, e mi chiedevo di che cosa. Ho capito che non me lo avrebbe detto, ha cominciato a spingermi verso il pulmino e dire che altrimenti sarebbe stato peggio. Poi gli ho chiesto di farmi spegnere il telefono.

Hanno chiesto di sbloccare il telefono nel pulmino?

No, ma hanno tirato fuori una telecamera e per qualche motivo hanno iniziato a filmarmi.

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Hanno fatto delle domande durante la ripresa?

Mi è stato chiesto cosa stavo facendo alla stazione della metro Pushkinskaya e cosa avevo in mano. Ho risposto che stavo tornando a casa, avevo dei fiori in mano e li ho lasciati al memoriale. A quanto pare, ha cercato di condurmi a una sorta di confessione, dicendo che per rovesciare il governo, sono corsa da qualche parte con due garofani. Cioè, l’agente delle forze dell’ordine ha fatto delle domande strane, e con un tono come se avessi una mitragliatrice tra le mani e non dei fiori.

L’intero pulmino era pieno di agenti delle forze dell’ordine, ma solo due di loro si sono comportati in modo aggressivo: quello che mi aveva arrestato e quello seduto sul sedile anteriore. Tutti indossavano passamontagna e questi due portavano delle maschere. Erano indignati dal fatto che stavo portando fiori a una persona che non conoscevo personalmente e che non sono andata con i fiori al cimitero. Ho risposto: non potete sapere se ci sono stata o no.

Questo ha fatto arrabbiare l’agente e ha cambiato l’argomento. Ha cominciato a parlare del fatto che stiamo facendo degli eroi per chissà chi, per certi bastardi. Ha cominciato a raccontarmi di un maniaco di Brest che ha violentato e smembrato una ragazza, poi ha cercato di bruciarne i resti. Il maniaco è stato catturato e poi è morto, in prigione o dopo il suo rilascio. Quindi, quell’agente delle forze dell’ordine ha detto del maniaco: «Voi l’avete trasformato in un eroe». Ho chiesto: «Chi l’ha trasformato?» Risposta: non fingere di essere uno sciocca!

Ma io davvero non capivo di che cosa si trattasse e pensavo che qualcosa non andava in me. Di conseguenza, ho chiesto ai miei compagni di cella che di maniaco di Brest fosse diventato un eroe. In generale, è stato molto spiacevole interagire con gli agenti delle forze dell’ordine, non sentirsi al sicuro.

Sono stata arrestata circa alle 15:20, abbastanza presto. Secondo il protocollo, tutto è successo un’ora prima, ma a quell’ora ero ancora a Malinauka, in un bar con un’amica.

Nel dipartimento di polizia era più tranquillo che sul pulmino?

C’era solo un funzionario che si è comportato in modo aggressivo, quello che mi ha chiesto di sbloccare il telefono. Mi sono rifiutata di farlo, poi ha iniziato a minacciare che avrebbe sbloccato il telefono da solo. Io ho risposto: «Potete fare tutto ciò che volete con il telefono purché sia legale». Il resto degli impiegati si è comportato in modo neutrale, alzando costantemente gli occhi al cielo e chiedendo: perché non rimanete a casa?

Hai avuto la sensazione che fossero stanchi?

Sì, non hanno voglia di farlo, almeno la maggior parte di loro. Vogliono che tutto finisca il più velocemente possibile, ma non capiscono che con il loro lavoro contribuiscono solo alla continuazione di tutto questo. E poi, tutti gli agenti che abbiamo incontrato al dipartimento di polizia in qualche modo si difendono psicologicamente. Se fai loro diverse domande, uno risponde che non ci ha arrestato lui, l’altro che non ha scritto il protocollo, il terzo che non ha confiscato lui le mie cose. Dice, anch’io sono contrario, tutto questo è assurdo, e non è colpa mia se andrai in prigione.

Con chi sei capitata nel dipartimento di polizia?

In ufficio con me c’erano diverse donne anziane, due di loro sono state poi portate via con un’ambulanza. Fino a tarda notte non potevano mandarci al centro di detenzione di Okrestina, siccome dovevano aspettare il convoglio, ci hanno portati giù in una cella. Poi hanno portato lì Palina Loika, il paramedico dell’ambulanza della seconda sottostazione. Con noi al centro di detenzione è stato trasportato anche un blogger, che era stato arrestato per un video in uniforme della polizia [Emin Musaev – NdR]. È stato l’unico condannato non ai sensi dell’articolo 23.34, ma ai sensi dell’articolo 17.1 [reato minore – NdR]. Nessuno dei detenuti ha riconosciuto questo ragazzo, ma assolutamente tutti gli agenti di polizia lo hanno salutato. Pertanto, abbiamo riso di lui e abbiamo detto che quando i primi fan di un blogger bielorusso sono poliziotti, probabilmente è molto male.

Cosa è successo nel dipartimento di polizia, perché le detenute fossero portate via da lì in ambulanza?

Entrambe le donne hanno avuto una crisi ipertensiva, credo si siano innervosite. Una delle donne era molto preoccupata di essere stata ingannata. Quando è stata arrestata, le hanno promesso di registrare semplicemente i dati al dipartimento di polizia e di rilasciarla, e io le ho spiegato che non ci avrebbero lasciati andare. Quella donna viveva in una casa di fronte a Pushkinskaya ed è uscita solo per vedere cosa stava succedendo al memoriale. L’impiegato che era seduto in ufficio con noi ha costantemente intensificato la situazione: ha detto alla donna che sarebbe stata incarcerata,chele avrebbero dato dei giorni di arresto. Ha provato a scherzare, ma era molto preoccupata e chiedeva costantemente all’agente se sarebbe stata picchiata. Mi dispiaceva molto per lei.

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Mi è stato detto che sei stata per la prima volta nel centro di detenzione temporanea già ad agosto, ma allora eri lì per lavoro. Puoi raccontarlo?

Siamo arrivati al centro di detenzione temporanea di notte. La sottostazione che serviva il distretto di Okrestina non ce la faceva e ci è stato chiesto di aiutare. Non appena siamo entrati dal cancello, abbiamo visto le persone inginocchiate vicino al muro. Dietro di loro c’erano molte altre file di persone che erano anche loro in ginocchio e intanto giacevano a faccia in giù. Non smettevano di picchiarli.

Ci è stato detto di uscire dall’altro cancello e ci hanno portato diverse persone ferite. Abbiamo cercato di visitarli e dare loro assistenza medica. A tal proposito, abbiamo capito che le persone dietro il recinto continuavano a essere picchiate: abbiamo sentito colpi, gemiti, come li costringevano a ripetere qualcosa. Sempre alla nostra presenza, dal centro di detenzione temporanea sono stati portati fuori dei ragazzi come prigionieri nel braccio della morte. Correvano in fila indiana, e sono stati sollecitati da tutti, alla fine hanno corso proprio dove le persone venivano picchiate.

Guardavo costantemente le facce, avevo paura di vedere qualcuno che conoscevo. Dopo tutto, non c’era Internet, non sapevamo chi dei nostri cari potesse essere stato arrestato. Non capivo cosa stesse succedendo e perché tutto fosse così. Noi abbiamo preso quattro pazienti, e per altri due adolescenti spaventati di 18 anni ho chiamato un’altra ambulanza, a proposito, ho litigato per loro con un ufficiale del centro di detenzione. I ragazzi hanno pianto e hanno chiesto che li lasciassero andare, hanno detto che erano solo stati in un negozio, e un agente in tuta da ginnastica infieriva e urlava che avrebbe distrutto loro e le loro famiglie. Mi è sembrato che uno degli adolescenti avesse la mascella rotta, l’altro il naso. Non riuscivo a capire perché dovessero essere picchiati in quel modo. Alla fine, sono rimasta lì ad aspettare la squadra di pronto soccorso successiva, che ha portato via gli adolescenti. Avevo paura che altrimenti i ragazzi infortunati sarebbero finiti in prigione.

Come è stata quella notte al centro di detenzione temporanea?

Faceva molto freddo.

Nessuno ha potuto portarti dei vestiti pesanti?

Quando ero al dipartimento di polizia, a mio fratello non è stato detto dove fossi. Dicevano che non ero stata arrestata o che mi avevano portato al centro di detenzione, gli hanno dato i numeri di telefono, a cui non rispondeva nessuno.

E poi nella nostra cella è entrato il capo del centro di detenzione – l’ho riconosciuto da una foto dei media. Dalla porta ha chiesto: «Chi è Kalashnikava? Ho pensato – accidenti, perché io?» In definitiva è stato nella cella e ci ha insultate, mi ha detto che se ero stata arrestata per i fiori, allora ero lì per una giusta causa. Ha anche detto che se avessi avuto con me la bandiera bianco-rosso-bianca mi avrebbe perdonato, ma se «porto fiori ai bastardi» devo stare in prigione. Non sapevo come interpretare tutto questo e cosa dire. C’era la spiacevole sensazione che tu lì sei sola e loro sono in tanti e non puoi fare nulla.

Non avevamo i materassi, dormivamo sulle assi. Non ci hanno dato la biancheria da letto, hanno detto «disinfezione» e hanno sorriso. In mattinata sono venuti, come ho capito, dal centro stampa della Direzione principale degli affari interni del Comitato esecutivo della città di Minsk. Hanno cercato di filmare il contenuto per loro e noi siamo stati presi uno per uno, condotti nell’aula magna. Dopo la ripesa, mi hanno portato nella prima cella maschile che era capitata – a quanto ho capito, i ragazzi di quella cella erano fuori a fare una passeggiata. Non solo faceva caldo, ma avevano anche dei materassi sulle cuccette. Abbiamo capito perché la «disinfezione» era proprio sul nostro piano: perché, molto probabilmente, da noi c’erano solo quelli che erano stati arrestati ai sensi dell’articolo 23.34.

Ora si parla molto dell’epidemia di Covid-19 nei centri di detenzione. Cosa puoi dire di questo come medico?

Avevo più paura di prendere le cimici lì. Il personale dei centri di detenzione ha molta paura del Covid-19, quindi tutti i prigionieri portano le mascherine. Un’altra cosa è che le mascherine non vengono fornite lì, quindi porti la stessa mascherina per giorni. Inoltre, non sempre abbiamo rispettato la distanza: a causa del freddo, abbiamo dormito abbracciati. E quando siamo stati portati al centro di detenzione, per un po’ di tempo siamo stati in quattro in un «bicchiere» [spazio separato della capienza di una sola persona NdT]. Le celle stesse erano sporche, dopo aver dormito sulle assi puzzavo come una senzatetto. Forse siamo stati fortunati a non aver ricevuto i materassi? Nella cella degli uomini puzzavano ancora di più.

Sui servizi è chiaro, ma per quanto riguarda il cibo?

Se lì danno da mangiare sempre in questo modo, non sono sorpresa che le persone si ammalino. La mattina ci hanno portato il tè e un po’ di porridge all’acqua: era così insapore che non capivo nemmeno di che tipo di cereali fosse fatto, ma era un piatto dietetico. Mi hanno anche dato un grosso pezzo di pane, e con questo mi sono riempita un po’. Ho capito che se ci mandavano, per esempio, a Zhodino e non ci davano da mangiare, poi avremmo mangiato solo la mattina dopo.

Cosa c’era scritto sul tuo protocollo?

Si trovava con dei fiori all’indirizzo «Corso Pushkin, 21A», ha preso parte a un picchetto. Nessuna informazione su che tipo di picchetto abbia avuto luogo lì o cosa io abbia fatto lì. All’udienza ho scoperto che, secondo le informazioni di un testimone, ho mostrato alcuni segni di solidarietà, ma nel protocollo non c’era nulla su questo. Hanno anche affermato che ho attirato l’attenzione degli automobilisti, ma come potevo farlo?

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Hanno sempre cercato di convincermi che con le mie azioni avevo violato la legge e anche la polizia antisommossa ha affermato che avevo provocato. Ho chiesto chi avevo provocato, e loro mi hanno risposto: «Non fingere di essere una sciocca». Forse ho provocato i servizi comunali a pulire [la strada]?

Cioè, non c’è stato un dialogo all’udienza.

Allora, la giudice non mi ha parlato, guardava i video su TikTok. L’udienza è avvenuta tramite Skype, quindi non ho visto per quale motivo lei guardasse sempre il telefono. Ma mio fratello era al processo e si è accorto di cosa si trattava. Ha detto che durante la pausa, la giudice ha anche discusso il video di TikTok con la sua assistente.

Ti aspettavi di ricevere dei giorni di arresto?

Sì, ero sicura che non ci sarebbe stato niente di buono per me. Un dipendente del centro di detenzione è stato sempre con me all’udienza, non è uscito nemmeno quando ho comunicato via Skype con l’avvocato, sebbene tali conversazioni dovrebbero essere riservate. E quando mi hanno dato una multa di 30 unità di base, altri dipendenti del centro di detenzione gli hanno chiesto come fosse andato a finire tutto e sono rimasti sorpresi quando hanno saputo della multa. Credo sia stata la presenza di un avvocato ad aiutarmi, e anche il fatto che il protocollo fosse redatto con le irregolarità. Sono stata fortunata, anche se ho ricevuto una multa per niente.

Ti aiuteranno a pagarla?

Sì, mi hanno scritto dalla fondazione ByMedSol, hanno detto che questo non è un problema. Al lavoro hanno anche raccolto i soldi per me, ma io voglio trasferire una parte dei fondi a Palina Loika, è stata condannata a 25 giorni di arresto.

***

I media hanno scritto di te diversi anni fa come di una ragazza con un tatuaggio insolito: il ritratto di Lukashenko sulla gamba. Il tatuaggio è ancora al suo posto?

Sì. Nel 2013 ho ricevuto una multa di 22 unità base per questo.

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In quali circostanze?

Sono stata arrestata allo stadio prima della partita di calcio della squadra Partizan. Presumibilmente, stavo correndo e imprecando, e in quel momento è apparso improvvisamente un plotone di polizia antisommossa. In effetti, io e la mia amica stavamo solo aspettando l’inizio della partita. Ho litigato con l’agente delle forze dell’ordine e lui mi ha colpito alla gamba, proprio su Sasha. Ero arrabbiata e gli ho chiesto: «Come? Lei non ama il nostro presidente? E come può lavorare qui?» Ad un certo punto, l’uomo si è arrabbiato, ha fatto un segno e la polizia antisommossa mi ha messo a faccia in giù per terra. Alla fine, sono stata arrestata e, forse, mi avrebbero dato dei giorni di arresto, ma sono stata portata via da un’ambulanza.

Hai avuto un infortunio?

Piuttosto, nel dipartimento di polizia semplicemente non volevano avere a che fare con me. Quando la polizia antisommossa mi ha portato lì, mi hanno guardato sorpresi: alta 158 centimetri, maglietta e pantaloncini bianchi. Quando hanno iniziato a registrare le mie cose, ho semplicemente svuotato il contenuto della borsa sul tavolo. Stavo tornando a casa dalla scuola e nella mia borsa c’erano i libri di medicina e un fonendoscopio. Hanno chiesto: «Lei è un medico?» Ho risposto: non ancora. Alla fine sono stata accusata di teppismo e resistenza. C’erano quattro vittime: il comandante del plotone e tre colleghi che lo difendevano. Presumibilmente, ho strappato l’uniforme di tutti, insultato e picchiato tutti. Quando è stato letto ad alta voce il protocollo in cui era scritto tutto questo, tutti nel dipartimento di polizia hanno riso e io sono rimasta scioccata. Avevo un sopracciglio gravemente rotto, hanno chiamato un’ambulanza e poi mi hanno rilasciata. Ho lasciato il Paese per un mese e mezzo e al ritorno ho trovato nella cassetta della posta un’ordinanza del tribunale e una multa. Gli amici mi hanno aiutato a pagarla.

Come hai deciso di farti un tatuaggio del genere? Solo per divertimento?

Sì. Avevo 19-20 anni e chi si distingue per le azioni ragionate a quell’età?

Non hai pensato di rimuovere il tatuaggio?

Rimuovere completamente no, non pensavo, piuttosto volevo correggerlo. Comunque ho anche un’altra gamba, e c’è Kolia [Nikolai Lukashenko], quindi va tutto bene.

Non mi pento di aver fatto questo tatuaggio. Ho fatto i miei tatuaggi per me stessa e non pensavo davvero al fatto che le persone avrebbero prestato loro attenzione. Ho dei tatuaggi molto storti, ma non li rifarò. Tutto questo è il riflesso della mia vita in determinati momenti, è esperienza.

In autunno, la tua dichiarazione sulle storie [di Instagram] è stata ampiamente diffusa. Hai raccontato del motivo per cui i kickboxer non parlano della violenza nel Paese.

Ho detto delle parolacce lì. Ho appositamente nascosto questa storia a mia madre e quando ho visto che si era già diffusa su Internet… Per tutto il giorno ho guardato il telefono e ho pensato che mia madre mi avrebbe chiamato per parlarmi della storia, ma non ha chiamato.

Come hanno reagito i tuoi amici atleti a quel video?

Alcuni si sono offesi e poi hanno firmato la lettera filogovernativa. È stato divertente osservare. Hanno preso tutto sul personale, succede che le persone si considerano semplicemente l’ombelico del mondo. In effetti, ero molto arrabbiata per il loro silenzio, motivo per cui mi sono espressa nella storia. Sono rimasta anche sorpresa dal fatto che le persone mi abbiano chiesto perché i kickboxer non parlano apertamente: chiediamoglielo!

La mia opinione soggettiva, che non riguarda solo gli atleti, è questa: ad un certo punto, intorno all’inizio di settembre, ognuno doveva fare la propria scelta. Coloro che volevano parlare hanno parlato, il resto sta solo aspettando chi vincerà. E quindi è chiaro che stiamo in cucina e discutiamo di tutto questo.

Non sto dicendo che i silenziosi siano persone cattive, sto dicendo che a loro non importa. su un piatto della bilancia ci sono vite umane che hanno sofferto, e sull’altro lo stipendio, e di uno di questi bisogna fregarsene. Cioè, devi essere pronto o a fregartene delle vite, mantenendo lo stipendio, o a parlare, ma sapendo come potrebbe finire.

Alcune persone chiedono: «Forse gli atleti non si accorgono di tutto questo?» Che sono stupidi e non sanno leggere? Nei corridoi tra di loro tutti parlano di politica, a volte negli spogliatoi appendono persino il divieto di discutere di tutto questo. E capiamo tutti l’opinione della maggioranza degli atleti, il governo è sostenuto da pochi. Ma quelli che sono contrari non parleranno mai, è più importante per loro mantenere ciò che hanno ora. E qualcuno si lamenterà sempre che non è abbastanza quello che ha, ma per lui è importante mantenere la posizione della vittima.

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Ci sono firmatari della lettera filogovernativa tra i tuoi conoscenti?

Io e Dima Valent abbiamo lo stesso allenatore, è vero però che poi Dima ha ritirato la firma. A quanto ho capito, lui aveva dubbi se firmare la lettera. Tutto è chiaro: quando ti mettono davanti la lettera e il contratto, per molti è un fattore decisivo. Ho una buona opinione di Dima, quindi sono rimasta un po’ male quando ho saputo della sua firma. Per quanto riguarda il resto dei firmatari, era tutto prevedibile.

Perché?

Amano più di tutti se stessi e questa è una buona caratteristica per un atleta. Forse, in qualche modo, vincono proprio per questo.

E per quanto riguarda la motivazione a rappresentare il popolo?

Secondo me, una piccolissima percentuale di atleti sale sul ring a ricevere pugni in testa e intanto pensa che dietro di sé ci sia il popolo. Salgono per se stessi e i grandi campioni hanno un buon ego. Se pensi di essere almeno un po’ peggio del tuo avversario, è improbabile che tu vinca – ovviamente, bisogna investire in questo anche le proprie forze.

Tu hai scelto di firmare la lettera per le elezioni eque.

Penso che ci siano più punti legati alla situazione nel Paese che alle elezioni. Le elezioni sono state più un catalizzatore di tutto, anche se lì è venuto fuori un bel casino.

Sei andata a votare?

Sì, tutta la mia famiglia ha votato. La mamma è andata alle urne per la prima volta dagli anni ’90, era una tipica bielorussa, convinta che il suo voto non significasse nulla. E poi ad aprile mi ha chiesto per chi fosse meglio votare.