«Ti rifacciamo la circoncisione»: israeliani sono stati torturati nelle carceri della Bielorussia

17 agosto 2020 | Daria Kostenko, Details
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Almeno tre cittadini israeliani sono stati arrestati in Bielorussia nei giorni scorsi dalle forze di sicurezza di Lukashenko. Due di loro hanno anche la cittadinanza bielorussa, non vi hanno rinunciato al momento dell’emigrazione in Israele. Il rilascio di uno di loro, Artem, è stato segnalato al «Details», sito israeliano di informazione, poche ore prima di questa pubblicazione. Si sa che è stato picchiato. Ai parenti dei detenuti è stato vietato di parlare alla stampa, minacciando che in questo caso i prigionieri sarebbero stati sottoposti a torture ancora più gravi. Un altro israeliano torturato è il 40enne Alexander Fruman. È stato tenuto in una prigione per tre giorni. «Considero come una mia missione dire a tutti cosa sta succedendo lì», ha detto al «Details».

Parte 1. Minsk

Il nipote di una sopravvissuta alla Shoah è stato torturato a Minsk

Alexander Fruman è emigrato in Israele da Minsk nel 1998, ha prestato servizio militare nella brigata di fanteria Givati si è laureato all’Università Ebraica, ha lavorato a Bituach Leumi, Istituto d’assicurazione nazionale d’Israele, e alla Banca d’Israele. Vive a Modi’in, dirige un’équipe di analisti di dati presso Investing.com, un’importante piattaforma finanziaria.

«Ci siamo preparati per un viaggio in Bielorussia per un anno», ha detto Alexander. «Volevo mostrare a mia moglie Minsk, la città in cui sono cresciuto. Volevamo anche andare nel Polesie, da dove viene la mia famiglia. Mio nonno è entrato nell’Armata Rossa nel 1941 ed è morto da qualche parte vicino a Mogilev, non sappiamo nemmeno dove sia sepolto. Il Museo Yad Vashem ha il suo nome. Mia nonna è sfuggita miracolosamente ai tedeschi. Molti dei suoi fratelli e cugini sono morti».

La moglie e il figlio di Alexander sono arrivati in Bielorussia a luglio, quando l’anno scolastico si è concluso nelle scuole israeliane. Sono rimasti con i parenti di Alexander. Lo stesso Fruman è arrivato in Bielorussia il 7 agosto. Ha affittato un appartamento nel centro di Minsk per mostrare alla moglie la capitale, dove aveva trascorso l’infanzia e la giovinezza.

Il 10 agosto la coppia è uscita a fare una passeggiata e questa passeggiata si è conclusa in un incubo

«Abbiamo camminato tutto il giorno nei parchi: una città pulita, tranquilla, senza rivolte. Siamo andati in una grande libreria sul viale dell’Indipendenza, nel centro di Minsk, abbiamo comprato tre libri in russo per nostro figlio, che legge principalmente in ebraico.

Dopodiché abbiamo visto che c’era un autobus giallo sul viale dell’Indipendenza, e accanto c’era un mucchio di scudi antisommossa con le parole ‹Polizia›. Ho pensato di ottenere uno scatto interessante e ho scattato una foto».

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«Sette poliziotti sono immediatamente scesi dall’autobus, mi hanno legato e hanno iniziato a picchiarmi proprio di fronte a mia moglie, e poi mi hanno buttato sull’autobus. Hanno iniziato a gridare: ‹Perché hai fatto delle foto?› Ho provato a spiegare che si trattava di una foto artistica, ma in risposta hanno gridato: ‹Stavi fotografando l’autobus per pianificare un attacco!›

Ho detto loro che sono cittadino israeliano e che chiamino l’ambasciata. In risposta, ho sentito oscenità selvagge e battute antisemite rivolte a me… Dissero che non ero stato circonciso completamente, e dovevo ‹ripeterlo›. Hanno minacciato di uccidermi. ‹Se continui a parlare dei tuoi diritti e chiedi di chiamare l’ambasciata, non scenderai da questo autobus›.

L’autobus si trovava sul viale nel centro di Minsk, loro afferravano tutti i passanti e io non potevo che sedermi a guardare. Ho visto un ragazzo uscire da un supermercato con una sporta ed ecco che l’hanno subito acchiappato.

Hanno bloccato il marciapiede e l’ingresso della metro, ma c’era gente che abitava poco lontano, tornavano dal lavoro. Si avvicinavano alla fila dei poliziotti e gli chiedevano come potevano tornare a casa. I poliziotti antisommossa rispondevano: ‹Ora spiegheremo›. Afferravano queste persone e cominciavano a picchiarle.

In mia presenza, un pensionato è stato arrestato perché aveva un berretto da baseball bianco con un ornamento nazionale bielorusso. A coloro che protestavano gli legavano le mani con lacci di plastica. E chi si arrabbiava era picchiato duramente».

L’esperienza di servizio nell’IDF, forze di difesa israeliane, mi ha aiutato

Alexander è rimasto sull’autobus fino alle 20:00. Successivamente, gli arrestati sono stati picchiati e trasferiti su un cellulare della polizia.

«Hanno fatto venire un cellulare della polizia e l’hanno messo accanto all’autobus in modo tale che dalle finestre delle case più vicine non fosse visibile quello che ci stavano facendo. Il 9 agosto, io stesso ho visto questi arresti dalla finestra. Ora so cosa stanno facendo con le persone lì.

Tieni le mani dietro la schiena, sei piegato in modo che la testa sia il più in basso possibile. Ti gridano quando devi scendere. Mentre vai verso il cellulare, passi attraverso una fila degli antisommossa: ti picchiano con i manganelli, sulle gambe, sullo stomaco, sotto la pancia con il ginocchio».

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«Sono un militare, ho prestato servizio nella Givati all’inizio degli anni 2000, volevo essere arruolato in Libano nel 2006: il mio migliore amico è morto lì… E poi la mia esperienza militare mi ha aiutato. Mi sono ricordato come si possono prendere pugni per ridurre i danni. Il poliziotto antisommossa ha mirato al mio intestino, al plesso solare, ma mi sono rannicchiato in modo che il colpo non funzionasse. E ho subito ricevuto una manganellata per questo.

Siamo stati picchiati e gettati in un cellulare. Lì, sul lato sinistro e destro, ci sono così detti ‹bicchieri›, piccoli spazi separati, da metterci una sola persona. Dietro ce n’era uno per 4 persone, ma eravamo in 10, premuti l’uno contro l’altro. Ho sentito una donna accanto a me in un ‹bicchiere› urlare forte: ‹Ho problemi al cuore, aprite!› – e i poliziotti hanno riso e hanno risposto con oscenità.

C’era un ragazzo con noi nello stesso cellulare che l’aveva vista arrestare. Lei è un avvocato, ex insegnante dell’Università statale bielorussa, dell’età di 51 anni, che ha votato per Lukashenko alle elezioni. Lei e suo marito possiedono un negozio in un centro commerciale non lontano dal viale dell’Indipendenza, stavano andando proprio lì. Vedendo una catena di poliziotti antisommossa che bloccavano la strada, suo marito ha chiesto scherzosamente: ‹Perché non possiamo passare, c’è il coronavirus?›

Diversi poliziotti antisommossa lo hanno immediatamente attaccato, hanno iniziato a picchiarlo e lo hanno trascinato sul cellulare. La donna li ha inseguiti, urlando, cercando di proteggerlo. Quindi diversi cadetti dell’Accademia del Ministero degli affari interni, che stavano aiutando la polizia antisommossa, si sono precipitati contro di lei e l’hanno picchiata duramente. L’hanno picchiata in faccia e allo stomaco. Hanno continuato a prenderla a calci anche quando era sdraiata a terra…»

Se c’è l’inferno, il carcere di «Okrestino» è ancora peggio

I prigionieri sono stati portati al dipartimento polizia del distretto Sovetskij di Minsk. Lungo la strada, gli arrestati, secondo Alexander, hanno pregato di non capitare in un altro luogo: il famigerato Centro di detenzione in via Okrestino di Minsk. Nel linguaggio comune, si chiama «Okrestino» [Akrescina in bielorusso, ndT]: le persone arrestate durante le azioni di protesta vengono solitamente portate in questo centro di isolamento. Ecco cosa dice Alexander di questo posto:

Source: AP Photo, Dmitri Lovetsky

«L’Okrestino è una camera di tortura. C’è l’inferno, ma Okrestino, secondo le storie riferite, è molto peggio. Ho sentito storie sugli uomini con l’ano lacerato. Gli uomini che escono non dicono niente, piangono e basta. Ho raccolto molte testimonianze del genere».

I media bielorussi hanno già segnalato casi di violenza sessuale nei confronti degli arrestati. Così, il sedicenne Timur M., che ora è nel reparto di terapia intensiva del 3° spedale pediatrico di Minsk, ha detto ai suoi parenti che a uno degli uomini arrestati era stato conficcato nel retto un manganello. Un’altra persona arrestata, un adolescente di 14 anni, è stato picchiato all’inguine. Lo stesso Timur è stato bloccato con un manganello in bocca, gli hanno cercato di spremere gli occhi e lo hanno picchiato duramente – riferisce TUT.BY.

Quando il gruppo di detenuti, incluso Alexander, è stato scaricato al dipartimento di polizia del distretto Sovetskij, sono stati picchiati di nuovo. Li hanno fatti piegare, di fronte al muro, con le mani dietro la schiena, e hanno continuato a torturarli. Secondo Alexander, altre 61 persone sono state torturate con lui. I prigionieri venivano picchiati al minimo movimento, anche se non riuscivano più a sopportare il dolore, la stanchezza o le lesioni.

«Siamo rimasti piegati in modo che la testa fosse all’altezza dell’addome. Con le braccia sollevate e divaricate, le gambe larghe il doppio delle spalle. In questa posizione dopo 5 minuti gambe, braccia, collo diventano insensibili, schiena e colonna vertebrale doloranti.

Il capo del dipartimento di polizia ha supervisionato personalmente la tortura. Lui stesso picchiava le persone con particolare passione. Accanto a me c’era un giovane con un braccio rotto e gonfio. Non poteva più tenerlo. Il capo del dipartimento di polizia gli si è avvicinato e ha detto pronunciando un flusso di oscenità: ‹Non capisci che devi alzare le mani?› Il ragazzo ha risposto che non poteva, perché il braccio gli era rotto. Poi il capo lo ha preso per mano, lo ha sollevato di scatto e lo ha colpito contro lo steccato. In seguito l’ho riconosciuto nella foto sul sito web del Ministero degli affari interni», ha detto Alexander.

Il «Details» ha trovato informazioni e una foto di questa persona: il capo del dipartimento di polizia del distretto Sovetskij della città di Minsk Sergei Leonidovich Kalinnik.

«Ha gridato: ‹Oh, sei un cittadino di Israele!› – e mi ha colpito allo stomaco con un bastone»

Dopo la stesura del verbale, agli arrestati sono stati portati via documenti e beni personali. Per tutto questo tempo Alexander ha insistito sul fatto di essere un cittadino israeliano e ha chiesto di chiamare l’ambasciata, ma la risposta è stata solo risate e prese in giro.

Successivamente, gli arrestati sono stati trasferiti nel cortile del dipartimento di polizia, dove sono stati costretti a stare in piedi con le mani dietro la schiena, chinandosi sul filo spinato. È stato fatto roteare a terra in modo che qualsiasi colpo potesse gettare una persona sulle spine. E li picchiavano per il minimo movimento.

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«Ti trovi davanti alla recinzione in una posizione scomoda e di fronte a te sul terreno c’è un filo spinato. Se inizi a cadere, ci cadrai a faccia in giù. Avevamo paura di muoverci. Per aver provato a muovere la gamba insensibile, si ricevevano manganellate. Grazie a Dio, nessuno è caduto

Uno dei poliziotti di statura enorme indossava un casco e una maschera, quindi era impossibile identificarlo. Gridava alle persone di abbassare ancora di più la testa e picchiava tutti. L’ho visto passare e ho cercato di abbassare la testa più in basso che potevo. Pensavo che così non mi avrebbe toccato, ma no, mi ha colpito comunque.

A questo punto gli ho detto che sono un cittadino di Israele e chiedo di essere segnalato all’ambasciata. Ha gridato: ‹Oh, sei un cittadino di Israele!› e mi ha colpito allo stomaco con un bastone. Se avessi taciuto, non avrei ricevuto questo colpo. E poi si è rivolto ai suoi colleghi e ha detto: ‹Guarda, abbiamo un cittadino di Israele qui! È venuto qui per distruggere il Paese!›»

«Se succede qualcosa, apriamo il fuoco per uccidere!»

Nel cortile del dipartimento di polizia, è stato detto loro: «Siete dentro una struttura di sicurezza, se fate qualcosa apriamo il fuoco per uccidere».

«Quindi ci siamo rimasti fino alle 4 del mattino. Circa una volta ogni due ore ci veniva data una bottiglia d’acqua per tutti. Risultava che non potevo berne a sufficienza per togliermi la sete, perché qualcun altro non ne avrebbe avuta abbastanza. Pertanto, saltavo il mio turno, prima di tutto affinché ci fosse di più per gli altri, e in secondo luogo, per non andare in bagno».

Secondo Alexander, quando gli arrestati venivano portati in bagno con una guardia, iniziava un gioco di poliziotto buono e poliziotto cattivo.

«Quello che ti porta in bagno inizia a parlarti educatamente, chiedendo chi chiamare per informare della detenzione. Come se fosse bravo e pronto ad aiutare. Ho chiesto alla guardia: ‹Chiami l’ambasciata, per favore›. Mi ha risposto: ‹Certo, dobbiamo farlo secondo la legge›. Ero così commosso che gli ho detto: ‹Metterò una nota sul Muro del Pianto per lei e la sua famiglia›. Ma non ha chiamato da nessuna parte, era solo un gioco. Mi sono reso conto che stavo provando la ‹sindrome di Stoccolma› verso di lui, e ho allontanato questi pensieri da me». 

«Faceva un freddo insopportabile»

Nel cortile del dipartimento di polizia, si sono sentite esplosioni e rumori di spari vicino al supermercato «Riga», situato nelle vicinanze: c’era uno dei centri di protesta nella notte tra il 10 e l’11 agosto. Ma solo un ex soldato dell’IDF ha riconosciuto questi suoni, erano nuovi per i bielorussi.

«Abbiamo sentito esplosioni e scoppi da lì. Come ex militare, mi sono subito reso conto che si trattava di granate stordenti, che sparavano con proiettili di gomma. Abbiamo provato a sussurrare a bassa voce con i ragazzi. Si chiedevano cosa stesse succedendo, gliel’ho spiegato».

Prima dell’alba la temperatura è scesa a 10 gradi, ma i prigionieri continuavano a stare nel cortile. 

«Indossavo la stessa maglietta e pantaloncini di jeans al ginocchio. La temperatura si è abbassata e avevo un freddo terribile. Poi ci hanno permesso di sederci sull’asfalto con le mani dietro la testa. Ma quando ci si siede sull’asfalto freddo a una temperatura di +10, ci si sente ancora più freddo.

Sono un uomo, ho attraversato cose diverse nella mia vita, posso far fronte a situazioni simili. Ma questa donna di 51 anni, Natalia, è stata con noi e ha dovuto fare lo stesso… non so come sia sopravvissuta…

Aspettavamo l’alba come la venuta del Messia. Avevamo tutti un freddo terribile».

Alexander dice che con loro nel cortile c’era un disabile mentalmente ritardato del secondo gruppo di invalidità, che si comportava «come un bambino di sei anni». Si chiama Artem Shimanskij, e ora, al momento della pubblicazione, è ancora in prigione.

«Quando gli è stato ordinato di alzare le mani, ha sorriso e ha detto: ‹Non lo farò, sono stanco, non ce la faccio più›. Per questo è stato picchiato con manganelli e punito anche più di noi. Tutti intorno a lui capivano che non stava bene e, per questo, si comportava in questo modo. Perché la polizia non l’abbia capito è un mistero per me.

Poi è apparso il sole, ha cominciato a scaldarci, è stata una tale gioia! Ci è stato permesso di sedere di nuovo sull’asfalto, anche appoggiarci sulle mani, ma ci hanno ordinato di guardare solo avanti. Ci siamo rilassati. E questo ragazzo, Artem… Si voltava e sorrideva tutto il tempo. Sembrava fosse capitato in una sorta di avventura. Allora ci hanno puniti tutti per la sua disobbedienza. Ci hanno fatto alzare di nuovo, chinandoci e ci hanno tenuto così per un’ora. Punizione collettiva perché una persona disabile ha disobbedito».

Secondo Alexander, trovandosi nel cortile, ha sentito come le persone venivano torturate nell’edificio del dipartimento di polizia, persone arrestate quella notte vicino al supermercato «Riga», dove cercavano di costruire barricate.

«Ho sentito urla terribili e colpi, così sordi, sul corpo con un manganello. La polizia antisommossa ha trasmesso tutta la sua rabbia su queste persone e, probabilmente, questo ci ha salvati da torture più crudeli».

Parte 2. Zhodino

«Questa è una vera Gestapo»

Verso le 11 del mattino, hanno iniziato a trasportare gli arrestati in una prigione situata nella città di Zhodino, nella regione di Minsk. Dovevano essere trasportati in due carri di risaia. Gli agenti di polizia antisommossa che guidavano il carico hanno messo in un carro coloro che si distinguevano in qualche modo per apparenza: persone in abiti con simboli nazionali bielorussi, ragazzi con i capelli lunghi, con tatuaggi. Secondo le indiscrezioni, hanno torturato di più in questo cellulare. Ma ciò che lo stesso Alexander ha vissuto durante il trasferimento ricorda molto le azioni della Gestapo.

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«Le persone nel cellulare giacevano una sopra l’altra. Il ragazzo sotto di me è svenuto. Succedeva così: una persona si inginocchiava, le mani dietro la schiena, la schiena era piegata, la testa era appoggiata sul pavimento. Mi mettevo dietro di lui, sempre in ginocchio, appoggiandomi a lui.

Gli uomini più resistenti avevano le mani legate con lacci di plastica, così forte che le mani diventavano blu. Alcuni riuscivano ad allungarli, ma se gli antisommossa se ne accorgevano, quelli si prendevano un numero incredibile di colpi alla schiena».

Secondo Alexander, il trasferimento a Zhodino è stato il momento più duro dell’intero periodo del suo arresto. 

«Scusami per i dettagli, ma un ragazzo se l’è fatta addosso. Penso che fosse proprio di fronte a me. Così, andavamo con questo caldo soffocante, tra le persone sdraiate una sopra l’altra, con le ginocchia che fanno male, сon il carro che salta sulle buche della strada… E ad un tratto si aggiunge questa puzza. (…) E poi lì dentro le guardie hanno giocato con noi al ‹karaoke›. Ci ‹ordinavano› una canzone e dovevamo cantarla. Hanno ‹ordinato› la canzone ‹Cambiamenti› di Tsoj (canzone simbolo della protesta di questi mesi), o le canzoni di un cantante pop Stas Mikhailov. Ma ci siamo rifiutati di cantare, abbiamo detto che non conoscevamo le parole.

Chi si lamentava era nuovamente picchiato. Se un poliziotto non riusciva a raggiungere la persona che voleva picchiare, si metteva con i piedi sulla schiena di altri prigionieri per raggiungerla».

«Stava con un piede sulla mia schiena, con l’altro su qualcun altro. E non solo ci si metteva il piede – non avrebbe fatto così male – no, la schiacciava volutamente con lo stivale, lo attorcigliava per renderlo più doloroso. Ho capito che era meglio non emettere un suono, avere pazienza per un’altra ora. Ma li abbiamo ascoltati e li abbiamo ricordati. A volte commettevano degli errori: si chiamavano l’un l’altro con i loro cognomi. Mi sono ricordato un cognome dal cellulare di Zhodino: Shabunia».

«Ricordi come nella serie TV ‹Il Trono di Spade› Arya Stark continuava a ripetere a sé stessa i nomi di coloro che avrebbe dovuto uccidere? Ovviamente non ucciderò nessuno, ma ho imparato questo sistema. Continuavo a ripetermi questi nomi che sentivo. E alcuni ragazzi hanno fatto lo stesso. Penso che questo sia molto importante». 

«Vi faremo scopare dai criminali»

«Lungo la strada, hanno cominciato a intimidirci dicendo che Zhodino è la prigione più terribile del mondo. Ci hanno detto: ‹Ora vi gettiamo nelle celle dei criminali, e vi scopano›. ‹Non ne uscirete più, dite addio alla vita›. ‹Quello che stiamo facendo è niente›. ‹Là, a Zhodino, ve la farete addosso sul serio›».

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«I ragazzi accanto a me piangevano di paura… un ragazzo di 20 anni mi ha chiesto sussurrando: come comportarsi durante la tortura in modo che non faccia male? Gli ho detto: ‹La cosa principale è non aver paura, perché quando hai paura, fa ancora più male. Prova a distrarti da tutto questo›. Insomma, io, che ho 40 anni, sì che posso farlo, e lui invece ne ha 20, certo che non ce la fa».

Secondo Fruman, all’ingresso del carcere di Zhodino c’era una fila di cellulari, da dover aspettare un’ora e mezza. Le guardie alla fine hanno permesso alle persone nel veicolo dove stava Alexsander di sedersi sul pavimento, ma gli faceva male esser seduto in qualsiasi posizione perché era stato duramente picchiato. Ha raccontato a che tipo di «preparazione psicologica» erano stati sottoposti i poliziotti e come hanno spiegato le loro atrocità.

«Ci siamo seduti più comodamente e la comunicazione è iniziata. I poliziotti hanno preso a dirci quanto siamo cattivi e quanto è bravo Lukashenko. Hanno detto che siamo stati pagati $150 ciascuno. E a guardargli negli occhi ho capito che ci credevano!

Poi hanno cominciato a spiegarci perché erano così atroci. Ci hanno raccontato favole sul fatto che più di 100 ‹poliziotti antisommossa› con le teste rotte sono già negli ospedali e li stanno vendicando. Penso che sia stato detto loro apposta per provocarli più duramente (non c’è conferma di questi dati del «Details»).

Ho iniziato a deviare la conversazione all’esercito israeliano, pensavo di interessarli in modo che fossero meno violenti. Ho posto loro domande quotidiane: quali sono i loro stipendi, quanto hanno bisogno per la vita. Ho cercato di distogliere la loro attenzione da altri ragazzi giovani, che chiedendo qualcosa di inopportuno potevano far arrabbiare le guardie».

Nella «zona» ho sentito per la prima volta una voce umana

Come ha detto Alexander, solo all’arrivo al centro di detenzione preventiva di Zhodino, gli arrestati hanno avuto un po’ di sollievo. I dipendenti della «zona» [«carcere» nel gergo criminale – N.d.T.] per criminali si comportavano in modo molto più corretto rispetto alla polizia antisommossa.

«I dipendenti di Zhodino non ci hanno battuti affatto, non ho ricevuto un solo colpo. Abbiamo corso lungo il corridoio e ci siamo trovati nel cortile, in cima era coperto da una grata. Sopra c’era un sorvegliante. Per la prima volta in questo giorno ho sentito una voce umana, senza urla e imprecazioni. Ci ha chiesto: ‹Ragazzi, va tutto bene, ci sono problemi? Ora vi porto un secchio, se qualcuno vuole andare in bagno, portate pazienza, fra mezz’oretta vi mettiamo in cella, lì vi sentite meglio›. Qui tutti hanno sentito un gran sollievo».

C’erano 16 uomini nella cella di Alexander, progettata per 8 persone. Tutti partecipanti alle proteste: i criminali erano stati trasferiti da lì, e sembra che ciò fosse stato fatto in fretta: i detenuti hanno trovato un nascondiglio nella cella, e in esso c’erano lame e un affilatoio. Per evitare problemi li hanno immediatamente gettati nel water.

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Durante il giorno, la temperatura nella cella saliva sopra i 30 gradi. I prigionieri hanno deciso di osservare l’igiene, si lavavano acqua più volte al giorno. C’erano 4 letti a castello per 16 persone. Affinché tutti potessero dormire la notte, hanno lavato il pavimento e ci hanno messo delle coperte.

«Abbiamo avuto un’incredibile solidarietà. Nella nostra cella, i più anziani eravamo io e un altro uomo, Andrei di 35 anni. Abbiamo cercato di aiutare i ragazzi a organizzare tutto. La prima sera abbiamo tirato a sorte dove avremmo dormito. Otto ragazzi hanno avuto letti a castello, e gli altri il pavimento. La notte successiva abbiamo fatto cambio. Ero il più basso: ho un’altezza di 1,70, quindi mi sono offerto subito di dormire costantemente sul tavolo in modo che gli altri avessero più spazio.

Lo stesso invalido, Artem Shimanskij, è capitato nella cella con noi. Lo abbiamo lavato ogni giorno in modo che non avesse caldo: per il caldo si grattava a sangue. Abbiamo parlato con lui in continuazione per fargli sentire che era con noi. Mi sembra che non abbia mai avuto così tanti amici in tutta la sua vita…

La prima volta abbiamo mangiato al mattino del 12. Artem mangiava molto, forse è effetto della sua malattia. Per assicurarci che ne avesse abbastanza, continuavamo a dire alle guardie che ce n’era uno in più e loro ci portavano un’altra porzione.

Abbiamo fatto con il pane delle pedine per giocare a dama ed a backgammon. Abbiamo conversato molto: abbiamo parlato di storia, di filosofia. Ho raccontato ai ragazzi storie sull’esercito… C’erano molte persone intelligentissime. Nella cella ho incontrato bielorussi molto bravi, persone di diverse professioni. 

Ho conosciuto anche un giornalista polacco di nome Casper. È un poliglotta, conosce molto bene il russo e molte altre lingue. Abbiamo parlato con lui di filosofia, cultura… È stato picchiato con accanimento nel dipartimento di polizia del distretto Frunzenskij di Minsk solo perché era polacco: ‹Voi polacchi siete venuti qui per distruggere il Paese. Tutti voi in Europa siete gay, culattoni. Che cazzo venite a fare qui?› – gli hanno detto.

Poi, già nel centro di Zhodino, due uomini con le valigie sono venuti nella cella a parlare con Casper; non si sono presentati, ma era chiaro che provenivano dai servizi segreti. L’hanno portato via della cella per una conversazione. Hanno detto che in realtà i bielorussi amano i polacchi. Cercavano di persuaderlo a non raccontare quello che aveva visto. Ma lui ha risposto: ‹No, racconterò tutto!› – e lo hanno riportato nella cella».

«Ci facevano gridare: ‹Lukashenko è il miglior presidente!›»

Le torture più gravi sono state subite proprio dai compagni di Alexander che hanno trascorso la notte nel dipartimento di polizia del distretto Frunzenskij.

«Mi lamentavo di dovere stare gattoni, con la schiena piegata, e loro invece erano stati fatti sdraiare per terra, mentre li prendevano a calci e facevano gridare: ‹Lukashenko è il miglior presidente›», dice Alexander.

Il 13 agosto i prigionieri hanno iniziato a essere portati in tribunale. I giudici, secondo Alexander, «non ascoltavano nessuno, ma deliberavano sentenze, una dopo altra». Gli arrestati ottenevano i termini standard dell’arresto amministrativo, da 5 a 15 giorni. Tuttavia, nessuno è venuto per Alexander. Nel frattempo stavano per scadere le 72 ore durante le quali, secondo la legge, si può trattenere agli arresti un cittadino straniero.

«Ho chiamato un poliziotto e gli ho detto: ‹Ascolta, e io cosa faccio? Quando scadono altre 2 ore devo essere rilasciato, secondo la legge›. Dice: ‹È una storia molto strana con te: hanno perso i tuoi documenti›. E poi ho capito che presto sarei stato rilasciato…

Adesso vogliono fingere di non avermi avuto affatto! Probabilmente pensavano che avessi la doppia cittadinanza: Israele e Bielorussia. In questo caso, le autorità bielorusse possono dire: ‹Non sappiamo niente, questo è un cittadino bielorusso› – e fare di me quello che vogliono. Ma ho solo la cittadinanza israeliana: ho rinunciato a quella bielorussa nel 2002. Me ne pentivo, ma ora mi ha salvato.

Altri israeliani che non hanno rinunciato alla cittadinanza bielorussa potrebbero ora trovarsi nelle carceri bielorusse.

Non conosco quasi nessun israeliano bielorusso che abbia rifiutato una seconda cittadinanza», dice Alexander.

«Ci troveremo su Instagram»

Quando è diventato chiaro che l’israeliano veniva rilasciato, i detenuti gli hanno scritto elenchi dettagliati con i loro nomi e numeri di telefono dei parenti. Attraverso i fori di ventilazione, è stato possibile parlare con i prigionieri di altre celle: anche loro mi hanno trasmesso i loro dati.

Alexander si è messo d’accordo con i suoi compagni di cella che si sarebbero ritrovati dopo il loro rilascio, tramite Instagram.

«Abbiamo creato hashtag unici con cui possiamo essere trovati su Instagram. #PN27PN con i caratteri latini è l’hashtag dei ragazzi che erano con me ne cellulare. L’hashtag della nostra cella a Zhodino è #zhodino26wait. Il nostro numero di cella era 26. Beh, ‹aspettate› è la parola più divertente che abbiamo sentito lì».

Alexander Fruman ha aspettato il suo rilascio, ma, come sospettava, è stato informato che il suo passaporto era stato perso.

«Adesso sono senza passaporto. Domani o dopodomani, l’ambasciata israeliana deve rilasciarmi un nuovo passaporto. È interessante notare che ho visto il mio passaporto sul tavolo del dipartimento di polizia del distretto Sovetskij, tra un mucchio di verbali: era l’unico lì, l’ho riconosciuto da lontano dalla copertina. Praticamente prima le autorità bielorusse hanno rapito un israeliano e poi gli hanno rubato il documento».

Prima del suo rilascio, Alexander ha dovuto cercare i suoi effetti personali tra gli effetti personali di altri detenuti per due ore.

«Sei stanze, e lì si trovano montagne di cose. Telefoni, lacci delle scarpe, scarpe, un sacco di soldi, carte di credito… Sorprendentemente, ho trovato le mie carte bancarie e i miei soldi. Molte banconote in valute diverse».

L’israeliano ha trascorso 78 ore in prigione. Lo hanno rilasciato insieme al giornalista polacco.

«Ci stavano portando fuori dal cancello della prigione. Casper era nelle vicinanze. L’ho preso per una spalla e gli ho detto: ‹Casper, libertà!› E vedo l’Ambasciatore polacco che è venuto a prenderlo. E quello israeliano invece non c’è!

Ero sorpreso. Avevo detto costantemente ai ragazzi della cella: vengo da Israele, i miei faranno a pezzi tutti per me. Gli avevo raccontato di Naama Issachar e loro si sono meravigliati come tutti si fossero dati da fare per la ragazza. Ma nessuno dell’Ambasciata israeliana, nessuno è venuto a prendermi.

Circa 500 persone ci stavano aspettando fuori dai cancelli, esco e tutti mi avvicinano i loro telefoni. E sullo schermo tutti hanno una foto della persona cara scomparsa».

Source: AP Photo, Dmitri Lovetsky

Le forze di sicurezza bielorusse non hanno informato i parenti dei detenuti dove fossero i loro cari, non hanno appeso gli elenchi e molti bielorussi ancora non sanno dove si trovano i loro parenti. Queste informazioni vengono raccolte solo da difensori dei diritti umani, ma le autorità sono riluttanti a collaborare con loro.

«Ho deciso che avrei fatto il giro di tutti, avrei guardato ogni foto. E ci sono andato in giro. Ne ho riconosciuti due».

Alla fine della conversazione, Alexander ha riferito al «Details» un’altra osservazione molto personale.

«Ho prestato servizio nella brigata ‹Givati› per tre anni, e poi altri sei mesi in base al contratto. Ho servito nel 435° battaglione ‹Rotem›, ho trascorso tutti e tre gli anni a Gaza, Gush Katif e luoghi vicini. Siamo stati spesso coinvolti nel trasporto di palestinesi arrestati. A Gaza, il mio comandante di plotone e operatore radio sono morti e due mesi dopo abbiamo catturato gli stessi terroristi che li avevano uccisi e li abbiamo scortati. Ma nella nostra vita non ci permetteremmo mai nei confronti dei terroristi nemmeno una frazione di ciò che la polizia antisommossa bielorussa ha fatto davanti ai miei occhi».

Non epilogo

Alexander Fruman e la sua famiglia sono ancora in Bielorussia. Continuerà a comunicare con i media. Considera suo dovere raccontare al mondo cosa sta succedendo nelle carceri bielorusse. Ora la sua famiglia ha portato Alexander in un rifugio sicuro.

Ci auguriamo che il Ministero degli Esteri israeliano aiuti gli israeliani con doppia cittadinanza che ad oggi sono ancora nelle carceri bielorusse.